Per “divisione” si intende l’insieme di operazioni giuridiche il cui scopo è quello di sciogliere una comunione – ereditaria o non – attraverso l’attribuzione a ciascun condividente dei valori corrispondenti alla loro quota (c.d. apporzionamento). La divisione, ancora, è un atto di straordinaria amministrazione in quanto modifica il patrimonio dei condividenti. Nonostante il Codice Civile disciplini separatamente la divisione ordinaria e la divisione ereditaria, la nozione di divisione è in realtà unica e le normative previste per le due divisioni si integrano tra loro, in quanto compatibili.
A prescindere dalle diverse tipologie di realizzazione previste in alternativa dallo stesso legislatore (divisione negoziale, divisione giudiziale, divisione in natura, atti diversi dalla divisione di cui all’art. 674 Codice Civile, nonché divisione ereditaria), in dottrina e in giurisprudenza si discute ormai da tempo circa la natura giuridica della divisione.
In particolare, la tesi sostenuta dalla dottrina tradizionale – prima della recente pronuncia rivoluzionaria della Cassazione – è quella della efficacia dichiarativa. Secondo i sostenitori di detta teoria, la divisione individuerebbe solo l’oggetto del diritto del compartecipe. Ciò in linea con l’articolo 757 Codice Civile secondo cui – avvenuta la divisione – il condividente si considera come se avesse ottenuto la titolarità del diritto di proprietà dei beni a lui assegnati sin dall’origine della comunione, non la mera comproprietà pro quota.
Altra parte di dottrina e giurisprudenza, al contrario, sostengono la natura costitutiva della divisione, secondo la quale ogni condividente acquista un diritto esclusivo sui propri beni, come assegnati nella divisione, ma la situazione giuridica del condividente creata dalla divisione non sarebbe preesistente alla stessa. Gli aderenti a detta teoria, dunque, partendo sempre dal disposto dell’articolo 757 Codice Civile, riconoscono l’effetto retroattivo della divisione, ma non lo ritengono conseguente alla dichiaratività.
Con una sentenza alquanto innovativa, n. 25021/2019, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite precisa alcuni principi relativi alla divisione ereditaria, alla divisione di bene immobile privo di regolarità edilizia, nonchè al quesito relativo alla natura giuridica della divisione.
Intanto, la divisione ereditaria è da annoverarsi tra gli atti tra vivi, non tra gli atti per il cui effetto rileva il momento della morte del loro autore (c.d. atti mortis causa).
Ancora, trattandosi di atto inter vivos, anche alla divisione ereditaria si applica la normativa propria degli atti traslativa di beni immobili, nonché – in caso di divisione di immobili – quella relativa alla regolarità edilizia dei fabbricati oggetto di divisione, non rilevando la data di costruzione degli immobili. Ancora, in materia di divisione giudiziale, senza il rispetto di regolarità edilizia degli immobili oggetto di divisione, non potrebbe adottarsi il provvedimento del giudice.
Quanto alla natura giuridica, in particolare, gli Ermellini confutano la teoria al momento prevalente della dichiaratività affermando che la divisione ha efficacia retroattiva, ma non si può sostenere abbia natura dichiarativa, ma natura traslativa. Nello specifico del caso prospettato alle Sezioni Unite, all’atto di scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto beni immobili abusivi si applica la medesima normativa prevista per gli atti traslativi.
Tuttavia, a prescindere dalla rivoluzione apportata dalla recente pronuncia di cui sopra ai principi di diritto sostanziale, la Corte di Cassazione non colpisce il regime fiscale della divisione.
Se il d.P.R. 131/1987 prevede l’aliquota dell’1% per gli atti aventi natura dichiarativa e differenti aliquote proprie di ciascun atto per quelli traslativi, ci si chiede il regime fiscale applicabile alla stregua delle ultime posizioni della Cassazione a Sezioni Unite, per cui la divisione non rappresenta più l’esempio di atto a natura dichiarativa.
In verità si tratta di un timore infondato in quanto per l’articolo 34 del medesimo decreto “la divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente”. Continuerà pertanto ad applicarsi l’aliquota dell’1% alle divisioni non generanti conguagli, a quelle che – cioè – non assegnano al condividente beni il cui valore risulta superiore al valore della sua quota di comunione.
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