La recente affermazione del Premier Matteo Renzi circa una riduzione di circa 150.000 unità dei dipendenti delle banche italiane ha alimentato polemiche – con i sindacati di settore che hanno già minacciato lo sciopero generale – che neppure una fulminea retromarcia in verità poco credibile di Palazzo Chigi (subito è stato fatto filtrare come “non ci sia nessuna ipotesi di dimezzare i bancari entro dieci anni“) è riuscita a placare.
L’intervento investe un comparto che ha conosciuto un enorme interesse da parte dell’attuale esecutivo e Presidente del Consiglio, che già a marzo chiariva come “Ci sono troppi banchieri: qualcuno deve fare altro nella vita“, per poi presentare riforme e norme tese a ridurre forzatamente il numero degli istituti (per quanto riguarda le BCC), a “salvare” quelli travolti dalla crisi e a rendere più facile (con meno tutele per i clienti) il recupero dei crediti concessi.
L’occasione è tuttavia utile, anche alla luce dei temi e provvedimenti richiamati, per aprire una finestra sul possibile domani delle banche italiane, dei loro dipendenti e, conseguentemente, del rapporto con i clienti, partendo dalle prassi e dai fenomeni già in essere.
Un dato iniziale è importante: nonostante la narrazione corrente, in Italia non ci sono né troppe banche né troppi dipendenti, rispetto alla media europea. Il numero assoluto degli istituti di credito, infatti, è pari a 654 unità (a fine 2015: ci superano Germania ed Austria con rispettivamente 1775 e 682), con un’incidenza di 11 banche per milione di abitanti (media UE: 16,1). I dipendenti, al 2014, sono invece circa 300.000, meno che in Francia (400.000), Regno Unito (400.000) e Germania (650.000), più che in Spagna (200.000), con un rapporto di circa uno ogni 200 persone e 12 imprese. I numeri sono altresì in costante diminuzione, coerentemente con la contrazione dell’economia tricolore verificatasi nell’ultimo decennio.
A fronte di questa premessa vi è una sola certezza: le aggregazioni e i tagli – di dipendenti e di sportelli – continueranno, come le parole del Premier (subito sposate dall’establishment bancario, si veda Gian Maria Gros-Pietro per il quale l’ipotesi di dimezzamento del personale “[…] sembra molto forte“) hanno inequivocabilmente reso palese. Tutto ciò sarà sicuramente compensato dalla tecnologia (in primis il cosiddetto internet banking) per le attività ordinarie e quotidiane ma – a parere di chi scrive – rischia di impattare negativamente per tutto il mondo della contrattualistica più complessa, meno abituale, ma di certo determinante per il sistema bancario e a cui il cliente si affaccia con maggiore preoccupazione: mutui e mercato del credito. Il rischio, infatti, è che vadano ad acuirsi fenomeni censurabili già ora in via di espansione: alcuni riscontri concreti sono opportuni.
Ci si riferisce, in primis, alla difficoltà di reperire funzionari per la sottoscrizione di contratti di mutuo fondiario, con la reiterata rischia di ricezione presso la filiale dell’istituto dell’atto, spesso “sostenuta” dalla previsione di compensi ulteriori per la presenza del bancario presso lo studio notarile. Si possono citare altresì i continui ritardi nell’invio delle minute dei contratti di mutuo, che spesso sono inoltrati al Notaio che riceverà l’atto appena poche ora prima della stipula, rendendo oltremodo difficoltose le operazioni di verificha delle clausole contrattuali cui è tenuto – nell’interesse del cliente – il pubblico ufficiale incaricato. Ancora, i funzionari che presenziano al contratto abitualmente sono investiti dei poteri per sottoscrivere ma non per modificare il contenuto con la conseguenza che – in caso si renda necessario intervenire con pattuizioni aggiuntive – inizia un’estenuante querelle con qualche call-centre o presunto ufficio legale che ovviamente si trincera verso ulteriori delibere da assumere. Non da ultimo, la tendenza – soprattutto da parte di alcune banche on-line – di procedere al versamento dell’importo del mutuo solo successivamente alla ricezione della comunicazione di avvenuta stipula da parte del Notaio, pretendendo tuttavia la quietanza di pagamento in atto, condizione che, se accolta, non essendo ancora avvenuto al momento della sottoscrizione il saldo, rischia di integrare un’ipotesi di falso.
Si tratta solo di un esemplificativo elenco di situazioni più o meni frequenti che la riduzione di sportelli e bancari non potrà che accentuare, con un’unica manifesta conseguenza per il cliente finale: la standardizzazione degli atti con annessa impossibilità di modifiche. Il contratto di mutuo finirà infatti per essere inoltrato al Notaio e alle parti come invariabile, a causa dell’assenza di un funzionario persona fisica interveniente con poteri, se non previ rinvii e ulteriori delibere. Rinvii e delibere che – ovviamente – implicano ritardi nelle transazioni giuridiche e costi che il consumatore – alle prese con cogenti compravendite di immobili o necessità di liquidità – non può permettersi, finendo per accettare sic et simpliciter quello che riceve.
Dunque, cosa fare? Tre sono le chiavi di lettura.
La prima, programmatica, è rivolta al legislatore, che si vuole invitare – laddove il fenomeno ci concentrazione e riduzione di istituti, banche e dipendenti – dovesse, come plausibile, proseguire inarrestabile, ad intervenire in materia prevedendo più stringenti obblighi informativi. Le minuti contrattuali devono essere inviate con largo anticipo a Notaio e cliente e la banca deve darne prova. I mutui devono essere sottoscritti presso gli studi notarili – dove ogni modifica è possibile fino alla firma finale – e non presso le filiali (dove la posizione del cliente è svantaggiata, in maniera totalmente opposta – ma con prinicipi simili – rispetto a quanto previsto per la contrattazione fuori dai locali commerciali). Il funzionario che interviene all’atto deve essere investito di un pieno potere di rappresentanza e di modifica dell’atto. La richiesta di inserire nei contratti dichiarazioni mendaci – quali quietanze non possibili – deve essere combattuata severamente, sfumando ai confini della subornazione. Il risultato può essere raggiunto anche intervenendo su alcuni istituti già presenti nel nostro ordinamento (le clausole vessatorie; la modifica unilaterale di cui all’art. 118 del Testo Unico Bancario) che potrebbero essere declinati in maniera più stringente per gli istituti di credito. Di certo, il prezzo dei tagli al sistema bancario non può essere pagato dai consumatori in termini di minore chiarezza e libertà contrattuale.
Il secondo profilo, invece, ha natura prettamente pratica ed attuale: cosa può fare già oggi il cliente per avere tutela? L’unica risposta possibile è l’inderogabile richiesta di trasparenza. Il proprio Notaio di riferimento potrà essere sicuramente d’ausilio, pretendendo – ed ottenendo – che l’istituto di credito gli faccia avere con congruo anticipo la minuta contrattuale. L’analisi di questa deve essere condivisa e puntuale, soprattutto se l’istituto di credito non interviene all’atto o ha una struttura organizzativa fondamentalmente telematica. In tal caso, infatti, è importante sapere che quando ci sarà un problema o una circostanza “straordinaria” (ad esempio: un’estinzione anticipata con necessità di estinguere l’ipoteca) le difficoltà relazionali aumenteranno, non avendo uno sportello a cui rivolgersi ma solo posta elettronica e numeri verdi. Nel richiedere eventuali preventivi diventa fondamentale non limitarsi a comparare i tassi d’interesse, ma rivolgere l’attenzione anche a tutte le altre spese e clausole accessorie di cui è importante avere un preliminare e completo riscontro.
Ed infine si impone una considerazione sui numeri e sulla necessità di tagli e riduzioni. I dati sopra illustrati chiariscono come l’Italia non conosca un eccesso di banche e bancari rispetto alla media Europea. Il vero tallone d’Achille dei nostri istituti in verità, come ha certificato l’EBA (Autorità Bancaria Europea) è la redditività, che ci vede penultimi nel Continente innanzi soltanto a Cipro. E qual è il motivo di tale debacle? Crediti deteriorati non esigibili e scelte sbagliate, che hanno sempre e solo gli stessi colpevoli: i vertici delle banche, che però da un lato scansano ogni conseguenza delle proprie incapacità, con azioni di responsabilità (si veda ad esempio Popolare di Vicenza) che stentano a partire e dall’altro continuano indefessi ad elargire soldi ai soliti noti (come il 19 agosto l’autorevole New York Times impietoso illustrava partendo dal caso “Feltrinelli”). Il nostro Premier parla di riduzione di cda e poltrone (come già parlava di diminuzione dei senatori, delle province, delle partecipate, et coetera..) mancando totalmente il vero punto della questione: a questo Paese non serve meno quantità, ma più qualità! Il legislatore, ovunque ma soprattutto nel settore bancario, deve insistere su norme che prevedano maggiori requisiti in capo ai vertici degli istituti e più immediate e draconiane sanzioni in caso di malversazioni. Si deve prevedere una separazione netta tra industria e mondo del credito e imporre incompatibilità tra incarichi, frenando l’accumulo di poltrone in conflitto d’interessi. E’ ora che la classe dirigente del Paese smetta di scaricare le responsabilità di una crisi che ha contribuito ad alimentare su quel che rimane del ceto medio e venga rimodellata in senso qualitativo e meritocratico: prima di dimezzare i bancari, imponiamo bravi banchieri.
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