Molte sono le critiche che si possono muovere all’indirizzo del Ministero dello Sviluppo Economico, ma di certo non quella di avere un’autoironia che sfocia nello sprezzo del..ridicolo. Questa può essere infatti l’unica chiave di lettura del comunicato di venerdì 7 ottobre (cui si rimanda, ma solo per chi ha veramente voglia di ridere) in cui il MISE ha cercato di celebrare i numeri relativi alla costituzione di start-up on line, senza l’ausilio del Notaio. Peccato si tratti ictu oculi di dati che certificano l’insuccesso della modalità, la sua complessità e – in ultimo – l’inutilità politica del Ministero stesso.
La vicenda, nel suo complesso, è già stata oggetto di trattazione. E’ universalmente nota, infatti, la possibilità di costituire start-up innovative senza il controllo notarile, e l’inevitabile reazione del Consiglio Nazionale del Notariato che – sostenuto anche da autorevoli esponenti della magistratura – ha proposto ricorso al TAR Lazio. La giustizia amministrativa ha – al momento – chiesto il giusto tempo per redimere la questione e nel mentre la costituzione on-line – a favore di chi teme i controlli – è possibile, con la spada di Damocle di una eventuale successiva declaratoria di nullità.
Il Ministero, quindi, ha valutato opportuno pubblicizzare l’andamento di questa fase iniziale, letteralmente.. dando i numeri: dal 20 luglio al 30 settembre scorso – si cita – 57 società hanno optato per la nuova modalità costitutiva e appena 34 hanno concluso l’iter. In breve, la certificazione di un fallimento. Solo il 60% delle nuove entità, infatti, è riuscito a “giungere alla luce”, con tempistiche incompatibili con le necessità di rapidità del settore delle start-up innovative. Si è in breve passati dal “fare impresa in un giorno” (possibile, con il Notaio – Registro delle Imprese permettendo – come ormai certificato anche dal report annuale Doing Business) al “disfare impresa in due mesi”: per il “Governo del fare” una figuraccia di cui qualcuno dovrà rispondere.
Questo quadro misero induce tuttavia ad una serie di valutazioni, giuridiche, politiche, pratiche, su cui è necessario soffermarsi.
A gennaio 2016 risultavano iscritte nel Registro delle Imprese oltre 5.000 start-up innovative costituite con atto notarile, e soggette ai relativi controlli. Nel corso del 2015 sono nate circa 2.000 start-up innovative – tutte con atto notarile – con una media mensile di circa 160 nuove unità, con rapidità e con percentuali di realizzazione dell’intero iter pari al 100%. I confronti con i dati del Ministero (un’insuccesso del 40%, appena 15 nuove società al mese effettivamente iscritte) sono impietosi: la nuova modalità, oltre ad eliminare i controlli aprendo il settore a criminalità e riciclaggio, allunga i tempi per fare impresa riducendo le possibilità che il proprio progetto imprenditoriale veda la luce.
La pubblicizzazione e il volere insistere con la costituzione on-line – tacendo dell’esito del ricorso amministrativo del CNN – avrà come principale conseguenza un crollo del nostro Paese nelle classifiche internazionali relative alla facilità di fare impresa (causa aumento degli insuccessi e dei relativi tempi di perfezionamento). Conseguentemente, si avrà un calo di credibilità, politica e soprattutto sui mercati, con riduzione degli investimenti diretti dall’estero, maggiore difficoltà nella collocazione del nostro debito pubblico e contrattazione – in primis per quanto conerne il necessario allentamento delle regole comunitarie di bilancio – con i partner europei. Come i medici dei secoli bui uccidevano – più che curare – i malati con salassi, sanguisughe, polveri e terapie dannose, così i nostri proto-imprenditori senza denari paurosi di controlli con la correità di politici e funzionali ministeriali demagoghi contribuiscono ad affossare le speranze di ripresa italiane.
Dovendo, infine, trarre un doveroso giudizio politico, il vero ed unico responsabile di questa situazione di incertezza giuridica e pericolo per lo sviluppo è proprio il Ministero cui è demandato tale obbiettivo. Ed invece, il MISE da fin troppo tempo fa tutto, si occupa di tutto, invade ogni campo (in primis quello delle professioni) spacciando ricette (con sempre la medesima base: più concorrenza, più liberalizzazioni, meno regole, meno controlli, et coetera) che denotato la totale incompetenza di chi le propone e i cui fallimenti sono notori e ripetuti (si sono già visti i danni in tema di compravendita di autoveicoli o assenza di tariffe in ambito legale, come ormai ammesso anche dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando). Le cause di questo scenaro sono puramente politiche: i maggiori periodi di attività del MISE (nel decessione dal 2006 ad oggi) sono quelli in cui a capo del dicastero vi erano soggetti che – volendo essere cortesi potremmo definire “in cerca d’autore” – i cui percorsi successivi, fra rottamazioni (Pierluigi Bersani), dimissioni per inchieste (Federica Gnudi), irrilevanza in sede di elezioni locali (Corrado Passera) testimoniano la pochezza. Ora è il turno di Carlo Calenda, ormai ultimo sostenitore del TTIP, da cui tutti i suoi omologhi europei si scansano: senza volere essere profetici, non un entusiasmante biglietto da visita.
Dunque, che fare? Il tempo è poco e le decisioni da prendere determinanti. Ai nostri imprenditori si suggerisce – se veramente vogliono fare “impresa in un giorno” – di evitare la costituzione telematica, diffidando degli imbonitori che la spacciano come strada meno costosa e più rapida. I tempi sono lunghissimi e i rischi di non farcela pari al 40%, ed è il Ministero stesso a certificarlo; i veri imprenditori conoscono il valore – anche economico – di ogni minuto e della certezza giuridica. Al nostro Premier – di cui è nota la tendenza ad accentrare i dossier più caldi – si invia un grido disperato: eliminiamo questa possibilità e salviamo statistiche e credibilità dell’Italia. Matteo Renzi sa quanto possano incidere, nelle trattative a cui ormai il Paese è chiamato quotidianamente, anche piccoli dati con tuttavia grande diffusione all’estero. Infine, prendiamo atto del continuo e reiterato fallimento dell’operato del Ministero delle Sviluppo Economico, ormai mero strumento al servizio degli interessi di lobby più o meno dichiarate. L’incapacità (ma siamo proprio sicuri si tratti di questo?) del dicastero nel valutare le conseguenze delle proprie sortite in territori ultronei alla sua competenza, accompagnanto all’assenza di vere proposte di riforma (fra le tante, il superamento almeno paziale del sistema del Registro delle Imprese, rendendo centrale il ruolo del Notaio – soggetto che non grava sulle casse dell’erario – in combinato disposto con l’utilizzo di nuove tecnologie quali block-chain), ne certifica la dannosità per la Repubblica: che sia soppresso.
Delendum MISE (semi cit.)!
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