A volte (purtroppo) ritornano: l’anatocismo bancario

da | 16 Ott 2016 | banche

Negli ultimi anni gli organi di stampa hanno acceso l’attenzione su alcune malattie (pertosse, scarlattina, rosolia, et coetera..) che l’Occidente in generale – ed il nostro Paese in particolare – ritenevano di avere debellato ma che purtroppo, a causa di molteplici fattori (dall’immigrazione al querelle sulle vaccinazioni) sono ricomparse nei nostri ospedali. Lo stesso fenomeno si è recentemente riproposto in ambito giuridico, con il ritorno sulla scena di un male che i poveri ed ingenui consumatori italiani confidavano definitivamente bandito dal nostro ordinamento: l’anatocismo bancario, termine con cui – come noto – si indica la produzione di interessi sugli interessi (e non sul solo capitale, il tutto come meglio disciplinato – a livello generale – dall’art. 1283 Codice Civile). E mentre per le malattie varie ci si interroga ancora su cause, colpevoli e rimedi, in ambito giuridico vi sono – senza tuttavia grande sollievo – maggiori certezze, almeno a livello di responsabilità

Tutto origina dall’ormai celeberrimo decreto legge 4 febbraio 2016 n. 18, intitolato “misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo […]“, poi convertito, in cui – come ormai pare manifesto – si è fatto entrare di tutto e di più, nella logica dell’emergenza e del “fate presto” (cit.) che sta portando il Paese verso il baratro. In particolare, con il più classico degli emendamenti, si era rimesso mano all’art. 120, secondo comma, del Testo Unico Bancario (ed il precedente “ritocchino”, si noti, era vecchio di soli due anni), con il dichiarato intento – di buone intenzioni è lastrica la via per l’inferno, diceva qualcuno – di debellare definitivamente l’anatocismo, introducendo la medesima periodicità nel calcolo degli interessi debitori e creditori, comunque non inferiore all’anno. Peccato, tuttavia, che sia stata anche inserita la “possibilità” per il cliente, si riporta testualmente, di “autorizzare anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale […]”. Questa opzione, si coordina con quanto previsto all’inciso precedente della norma, per cui “gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili […]”. In breve, al consumatore, parte contrattuale debole, è prospettata questa alternativa: pagare gli interessi entro 60 giorni dalla scadenza annuale (e cioè al primo marzo) oppure autorizzare preventivamente il loro addebito in conto con conseguente produzione di ulteriori interessi.

La pericolosità (e gravosità, per il cliente) della norma così come riformata è manifesta. Non solo: la stessa contraddice quanto approvato appena due anni fa nella medesima materia e violenta la reiterata giurisprudenza di legittimità impegnata nel volere bandire detta prassi dal nostro ordinamento. La previsione normativa della devoluzione della disciplina alle valutazioni del CICR (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) pare altresì la più subdola foglia di fico per nascondere dietro un presunto paravento tecnico una scelta squisitamente politicamente lobbistica e politica. E infatti il CICR – presieduto dal Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, soggetto che temo fatichi a definirsi estraneo alle scelte di esecutivo e maggioranza parlamentare – con una propria delibera in data 3 agosto ha recepito in toto lo spirito della modifica all’art. 120 del Testo Unico Bancario dando via libera al ritorno dell’anatocismo.

Diventa ora mero esercizio di stile capire chi sia l’untore, anche perché le responsabilità e gli interessi che hanno manovrato l’intera vicenda sono più che manifesti. E non importa neppure in questa sede procedere ad una caccia alle streghe; si confida sul punto in un intervento della magistratura – medico curante delle infezioni giuridiche cui il nostro corpus normativo è ormai quotidianamente esposto – che possa contrastare questa pericolosa deriva. Come abitudine, tuttavia, le riflessioni conclusive sono varie.

In primo luogo è sempre più manifesto il tentativo di puntellare il moribondo sistema creditizio bancario con risorse private di correntisti, azionisti, obbligazionisti, mutuatari. La rotta l’ha indicata l’universalmente noto “bail-in” e il nostro legislatore la segue – anche in ambito domestico (non interno: si rimanda alla Treccani per la distinzione) – pedissequamente: in breve le banche sono malate, ma le medicine le devono pagare i cittadini.

Innanzi a questo sacrificio richiesto alla collettività, il vero tema (cioé la responsabilità dei vertici; la persecuzione dei comportamenti scorretti; la lotta ai conflitti d’interesse che infettano il sistema bancario) rimane totalmente non affrontato. Nulla è stato fatto – a livello normativo, con una magistratura sempre più isolata – per giungere ad una migliore selezione della classe dirigente dei nostri istituti di credito. La fuorviante indicazione di procedere a fusioni per tagliare poltrone è totalmente demagogica: non servono meno stipendi, servono più capacità ed onestà. Sul punto diventa anche stucchevole reiterare proposte semplici e necessarie (maggiori requisiti di professionalità e indipendenza per gli amministratori; divieto di cumulo di incarichi; sterilizzazione del diritto di voto da parte di soggetti che svolgono attività imprenditoriale in potenziale conflitto d’interessi e hanno partecipazioni rilevanti; aggravio delle pene e più incisivi strumenti inquisitori per i reati dei colletti bianchi) che rappresentano l’unica soluzione non solo alla crisi del sistema bancario ma a quella dell’intero Paese. Si ricorda, infatti – come ormai acclarato – che l’attuale negativa congiuntura economica non è dovuta all’elevato debito pubblico, ma a quello privato. Un mercato del credito senza controllo ha portato da un lato il fenomeno dei finanziamenti non perfomanti (cioè inesegibili) che affossano il bilancio dei nostri istituti, e dall’altro a una disponibilità per fare impresa da parte di soggetti privi di capacità che hanno potuto accedere al mercato esclusivamente grazie a generosi prestiti e a politiche commerciali al ribasso sui prezzi. La conseguenza? Deflazione, riduzione dei salari, contrazione dei consumi, crollo della domanda interna, fallimenti a catena, Italia ad un passo dal baratro.

L’ultimo inciso ci deve indurre anche ad una valutazione circa i meccanismi di accesso degli operati al mercato, sia professionale che imprenditoriale. E’ evidente la necessità di regole e controlli: la mano invisibile di Adam Smith è invisibile proprio perché non esiste. L’illusione dei mediocri che qualunque soggetto possa accedere – senza barriere di merito in fase precedente o successiva – ad un determinato mercato e confrontarsi direttamente con lo stesso ha mostrato i propri intrinseci limiti. Da un lato, infatti, il cliente medio – vittima di una asimettria informativa – non ha gli strumenti per valutare – in certi settori – le capacità e l’affidabilità del singolo operatore – finendo così per affidarsi nella scelta ad un mero criterio economico; dall’altro, le cattive capacità “imprenditoriali” del soggetto – sia che venga espulso dal mercato, a seguito ad es. di fallimento, oppure vi permanga facendo danni, ad es. se professionista – rischiano di essere pagate dall’intera collettività. E’ il caso dei salvataggi bancari, o in ambito notarile dei colleghi (per fortuna isolati) accusati di non versare le imposte, o nel mondo forense degli avvocati che per sopravvivere alimentano le speranze dei poco accorti clienti con pretestuose cause che ingolfano la nostra giudizia. Diventa pertanto necessario, in determinanti (e determinanti, per l’Italia) settori, introdurre meccanismi finalizzati ad una riduzione numerica degli operatori, ad un loro maggiore controllo, ad un superamento della concorrenza sul prezzo come unico elemento percepito dal necessariamente non informato cliente (qualcuno ha detto tariffa?). Tutto questo già sta avvenendo per gli istituti di credito – con fusioni obbligate, controlli centrali, requisiti patrimoniali minimi, discrezionalità della Banca d’Italia circa la possibilità di costituire nuove realtà; la giustizia vale forse di meno?

Da un ultimo – ma non meno importante – emerge il tema della tutela del singolo consumatore. Ho già illustrato la pericolosa deriva cui viene condotto il cliente delle banche italiane (la patente di alesiniana memoria) e queste ultime novità normative non fanno che confermare il quadro. L’autorizzazione preventiva in tema di anatocismo diventerà come la possibilità di modifica unilaterale di cui all’art. 118 del Testo Unico Bancario o la previsione del patto marciano: clausole standard cui il cittadino – comprensibilmente poco informato – presterà il proprio consenso oggi per poi piangere domani. Sul punto – da Notaio – non posso che augurarmi un ruolo forte della categoria, con un’assistenza piena e puntuale al cliente in sede di stipula (e anche oltre), nel pieno adempimento del proprio ruolo di guardiani della legalità.

Fabio Cosenza

Notaio

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