L’azione di restituzione è uno dei mezzi giurisdizionali tramite cui il legislatore tutela i legittimari ai fini della reintegrazione della quota di eredità ad essi riservata. Il Codice Civile, infatti – agli articoli dal 553 al 564 – prevede la possibilità di esercizio – a favore dei legittimari pretermessi o lesi – di tre azioni distinte, autonome, bensì tra loro connesse.
Prius logico e temporale è l’azione di riduzione (articoli 553 e seguenti del Codice Civile).
Si tratta di un’azione personale – esperibile contro i destinatari delle disposizioni riducibili (donatario, erede, legatario) – e non rinunciabile prima della morte del donante ovvero de cuius (articolo 557 del Codice Civile) mediante cui il legittimario attore potrà fare accertare l’an ed il quantum della lesione della legittima (è una c.d. azione di accertamento costitutivo) ai fini di ottenere dall’autorità giudiziaria una pronuncia di inefficacia – totale o parziale – delle disposizioni testamentarie ovvero delle donazioni lesive della quota legittima ad esso spettante, nonché dei suoi diritti alla stessa (c.d. azione di inefficacia relativa e sopravvenuta). I suoi effetti sono retroattivi reali, ovvero retroagiscono al momento dell’apertura della successione, e rilevano sia per le parti che per i terzi.
Ancora, il legittimario – solo qualora abbia vittoriosamente agito in riduzione – potrà servirsi anche dell’azione di restituzione (o contro i beneficiari delle disposizioni ridotte ovvero contro terzi acquirenti), ex articoli da 561 a 563 del Codice Civile.
Entrambe sono azioni particolari (dirette a riottenere uno o più beni determinati) finalizzate al recupero materiale del bene – o dei beni – oggetto delle disposizioni lesive della quota legittima già rese inefficaci dall’accoglimento dell’azione di riduzione; in sostanza, a seguito della restituzione di tali beni – da soggetti beneficiari o terzi – gli stessi saranno ricondotti al patrimonio del legittimario pretermesso o leso. L’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte (articolo 561 del Codice Civile), tuttavia, è azione personale a differenza di quella contro i terzi acquirenti: quest’ultima è un’azione reale, diretta nei confronti non dei beneficiari della donazione o della disposizione testamentaria, ma degli attuali proprietari del bene.
Lo scorso maggio, la giurisprudenza di merito è tornata a far leva sul tema della rinunzia all’azione di restituzione del bene donato. Secondo quanto prescritto dall’articolo 563 del Codice Civile – come novellato dalla legge 14 maggio 2005 n. 80 – il legittimario leso o pretermesso qualora non si opponga alla donazione ovvero trascorrano venti anni dalla data di trascrizione dell’atto di donazione, perde il diritto all’azione di restituzione di quanto donato, salva la possibilità di agire in riduzione ed anche se il donante è ancora in vita.
L’ordinanza del Tribunale di Pescara n. 250 del 25 maggio 2017, in particolare, ha il merito di aver affrontato problematiche a lungo dibattute (quali l’ammissibilità – e dunque liceità – della rinunzia all’azione di restituzione; la natura e le peculiarità di tale azione; la differenza tra essa e patto successorio dispositivo rinunziativo, da un lato, ed azione di riduzione, dall’altro; il regime pubblicitario alla quale tale atto di rinunzia deve essere assoggettato) ed aver dettato – sulla scia della pronuncia del Tribunale di Torino n. 2298 del 26 settembre 2014 – vere e proprie linee guida ormai pacifiche, condividibili e risolutorie.
Il combinato delle due pronunzie, infatti, rileva non solo per aver chiarito aspetti controversi dell’atto di rinunzia all’azione di restituzione, ma anche perché tali soluzioni riducono il sorgere di problematiche legate alla circolazione di beni di provenienza donativa e – soprattutto – si propongono quale obiettivo finale quello di garantire una maggiore, nonché più certa tutela a favore dei legittimari pretermessi, ovvero lesi.
In particolare, al Tribunale di Pescara ricorreva un Notaio – richiedente al giudice di merito l’annotazione di un atto di rinunzia all’azione di restituzione concluso da un legittimario del donante (ai fini di non ostacolare la vendita a terzi dell’immobile donato) a margine della trascrizione di due atti di donazione – contro il rifiuto del Conservatore dei Registri Immobiliari, ex articolo 2647 del Codice Civile, il quale ribadiva in tale occasione la regola della tassatività delle ipotesi trascrivibili in materia di pubblicità immobiliare e manifestava dubbi sulla legittimità dell’atto di rinunzia all’azione di restituzione, nonché sulla certezza degli effetti dello stesso atto nei confronti di soggetti terzi.
Nel 2014, invece, sempre un Notaio adiva il Tribunale di Torino contro un Conservatore dei Registri Immobiliari, il quale si rifiutava di trascrivere l’atto di rinunzia all’azione di restituzione di tutti i legittimari del donante (ancora in vita) di un immobile oggetto di precedente donazione; il donatario – anche in questo caso – aveva intenzione di alienare a terzi l’immobile di provenienza donativa.
Le considerazioni del giudice di merito di Pescara – che di seguito si sintetizzano – rievocano quelle della pronunzia del Tribunale di Torino del 26 settembre 2014 n. 2298.
Anzitutto, non è da contestarsi la liceità e l’ammissibilità dell’atto di rinunzia all’azione di restituzione durante la vita del donante e prima della scadenza del termine ventennale previsto dall’articolo 563, comma 1, del Codice Civile. Tale atto, infatti, risulta essere differente sia dall’azione di riduzione che dall’azione di restituzione contro beneficiari diretti per le ragioni di cui sopra.
Ancora, non vi è conflitto tra la rinunzia all’azione di restituzione ed il divieto di patti successori rinunciativi, accordi, cioè, mediante i quali un soggetto rinunzia ad i propri diritti che gli deriverebbero potenzialmente da una successione non ancora aperta, nulli ai sensi del disposto dell’articolo 458 del Codice Civile. Ciò perché – con la donazione – il bene non appartiene più al patrimonio del donante – nonchè futuro de cuius – e perché è salva la possibilità che il rinunziante eserciti l’azione di riduzione nei confronti del donatario.
Infine, rispettando il principio di tipicità della trascrizione – che non garantirebbe la trascrivibilità dell’atto di rinunzia all’azione di restituzione e ne giustificherebbe il rifiuto da parte del Conservatore dei Registri Immobiliari – la giurisprudenza di merito ribadisce la soluzione dell’annotazione a margine della trascrizione della donazione. Ciò in quanto l’annotazione – da un lato – è regolata dai principi non di tassatività, ma di veridicità e compiutezza, e – dall’altro – non si tratta di pubblicità dichiarativa e risolutoria di conflitti tra più acquirenti (articoli 2644 e 2645 del Codice Civile), ma alla rinunzia si conferisce una mera pubblicità notizia. La pubblicità dell’atto di rinuncia, così, sarebbe produttiva di effetti verso tutti gli aventi causa dal donatario ed assolverebbe l’esigenza di conoscibilità della rinunzia a terzi e di tutela della trasparenza e della certezza dei traffici giuridici.
Concludendo, mediante quanto evidenziato nelle due pronunzie citate, la giurisprudenza di merito ottiene due risultati fondamentali: in primis, risolve ogni perplessità circa l’ammissibilità della rinunzia all’azione di restituzione e l’autonomia della stessa rispetto figure differenti ovvero analoghe; in secondo luogo, detta la regola pubblicitaria dell’annotazione dell’atto di rinunzia a margine della trascrizione dell’atto – o degli atti – di donazione. Quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare in quanto ne consegue non solo una maggiore tutela dei legittimari – pretermessi o lesi – che si contempera con le esigenze di mercato, nonché dei terzi, i quali verranno a conoscenza della scelta dei rinunzianti di non voler far valere i loro diritti verso gli aventi causa del donatario, ma anche perché l’annotazione dell’atto di rinunzia alla restituzione consente una più certa, trasparente e meno problematica circolazione di beni aventi provenienza donativa ed una maggiore stabilità degli effetti prodotti da eventuali e successivi atti traslativi o costitutivi di diritti reali su tali beni, in linea con la ratio della legge 14 maggio 2005 n. 80: agevolare la circolazione di immobili già oggetto di atti di liberalità e renderli commerciabili anche durante la vita del donante.
Ci sono riforme che non occupano spazi sui giornali o nei talk-show, non paralizzano il Parlamento per mesi e non dividono l’opinione pubblica ma sono altrettanto rilevanti di ius-soli, matrimoni omosessuali, età pensionabile nel dibattito per cambiare il Paese. Il problema degli immobili di provenienza donativa e della loro incommerciabilità è sicuramente uno di questi, seppure il cittadino se ne accorga solo nel momento in cui vi cozza contro, generalmente per diretta esperienza.
Quante case non vengono vendute, quanti mutui non stipulati, quanta ricchezza non riesce a circolare a causa di un legislatore che – impegnato in altro – ancora non è riuscito ad offrire all’ordinamento una soluzione che sposi esigenze di sicurezza dei terzi acquirenti con tutela dei soggetti a cui la legge riserva una quota di eredità?
Certo, qualche timido passo è stato fatto (si pensi alla rinuncia all’opposizione alla donazione introdotta nel 2005) senza – tuttavia – che sia avvenuta una vera svolta. In tutto questo – ancora una volta – il compito di innovare è toccato a dottrina prima (vincolata tuttavia al dettato normativo) e giurisprudenza ora, come i provvedimenti sopra ricordati ben testimoniano.
Ma dopo il “prima” e l'”ora” occorre un “poi”, e questo non può che spettare al Parlamento, nel solco anche delle ricostruzioni e delle proposte – mi permetto di dire – che il Notariato ha avanzato. Nelle more diamo spazio a queste soluzioni alternative, dal mondo del diritto per il cittadino, sperando tuttavia che possano essere solo temporanee.
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