Il Notariato commenta la Cirinnà

da | 8 Mag 2018 | politica, successioni

Se con la legge 20 maggio 2016 n. 76 (più comunemente nota come Legge “Cirinnà”) – su cui già nella sua fase introduttiva gli illustri esponenti della dottrina esprimevano non poche perplessità (si veda il più puntuale contributo pubblicato su questo sito in data 13 maggio 2016 “Le unioni civili dividono prima di unire“) – il nostro Paese ha raggiunto importanti traguardi, la stessa continua a trascinarsi delle problematiche – di non poco conto né di poca incidenza pratica – analizzate nello scorso 10 aprile in uno studio del Consiglio Nazionale del Notariato.

La “Cirinnà” è parte di un più ampio intento legislativo quale quello di spostare il baricentro nel concetto di “famiglia” dalla coppia alla filiazione, ormai unica, nonché garantire il passaggio dalla forma mentis di una sola unione fondata sul matrimonio ad una concezione ben più ampia di nucleo familiare, rispettosa del disposto di cui all’articolo 2 della Costituzione, che riconosce meritevoli di tutela anche realtà differenti e ben diffuse nella prassi. Con la legge speciale, dal 2016 sono disciplinate anche le unioni civili e le convivenze di fatto.

Gli aspetti problematici che in questa sede si intendono illustrare e chiarire sono essenzialmente tre, tutti riferiti alle convivenze di fatto:

1. la possibilità per i conviventi di adottare, modificare e far cessare il regime di comunione dei beni, i limiti e peculiarità;
2. la circolazione dei beni dei conviventi in relazione al sistema pubblicitario appositamente previsto dalla legge speciale;
3. il ruolo del Notaio in un settore del diritto in cui potrebbero intervenire altri professionisti, quali gli Avvocati, alla stregua di una maggiore certezza dei mercati, di sicurezza nella circolazione dei beni e di tutela delle parti.

Quanto alla comunione dei beni, v’è da premettere che – a differenza di quanto accade tra coppie coniugate ovvero unite civilmente – tra conviventi non sussiste un regime legale di comunione dei beni, ma il loro “regime legale” è quello della titolarità esclusiva del proprio patrimonio. Un non regime, insomma, che ben si distanzia anche dalla separazione dei beni di cui agli articoli 210 e seguenti del Codice Civile. Tuttavia, è previsto che i conviventi possano disciplinare i loro rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune mediante un contratto di convivenza (per un maggiore approfondimento sul punto si legga quanto scritto in data 13 giugno 2016 nell’articolo “Sui contratti di convivenza aumentano le perplessità“) in cui gli stessi, ai sensi del comma 53 lettera c), possono espressamente scegliere il regime della comunione dei beni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del Codice Civile.

Da qui derivano considerazioni di alta rilevanza notarile.

In primis, il disposto normativo sopracitato è solo una delle ragioni per le quali la dottrina dominante afferma con convinzione che i conviventi, soggetti dunque di stato civile libero – aventi i requisiti di cui al comma 36 della legge 76/2016 e considerate le cause di esclusione ai fini dell’applicabilità della medesima legge – sono legittimati per la prima volta nel nostro ordinamento ad adottare la comunione legale dei beni, stante il rinvio alla disciplina del Codice Civile (articoli 177 e seguenti), ma non anche la comunione convenzionale di cui agli articoli 210 e seguenti del Codice Civile.

Ancora, tale scelta legislativa non riduce la sicurezza sostanziale né quella del mercato. Un regime di comunione tra conviventi, come intesi dalla legge “Cirinnà”, infatti, risulta opponibile a terzi soltanto se ricorrono i requisiti ex comma 36 della legge 76/2016; la convivenza risulta essere stata registrata in anagrafe, ai sensi del comma 37 di detta legge, previo controllo sostanziale; è stato stipulato un contratto di convivenza; è stato previsto nel contratto di convivenza il regime della comunione dei beni quale quello scelto dai conviventi; è stata effettuata la pubblicità del contratto di convivenza (comma 52).

Circa il sistema di pubblicità in anagrafe previsto dalla “Cirinnà”, invece, molti sono stati i dibattiti tra fautori della registrazione ex comma 37 della legge quale elemento costitutivo ulteriore della convivenza di fatto, e tra i sostenitori della medesima registrazione come mero mezzo di prova. In realtà – ai fini dell’assoggettamento del contratto di convivenza alla pubblicità opponibile ai terzi ai sensi del comma 52 legge 76/2016 – la registrazione è da considerarsi elemento necessario ed imprescindibile. La stessa si realizza mediante la presentazione dello stato di famiglia in cui deve comparire l’eventuale registrazione della convivenza di fatto e, di conseguenza, l’eventuale contratto di convivenza, ma anche – indicazione in realtà spesso omessa nella prassi – la scelta dell’adozione del regime di comunione legale da parte dei conviventi.

In verità, la pubblicità ai sensi del comma 52 legge 76/2016 è limitata al solo contratto di convivenza, non ai suoi effetti. Ancora, gli effetti della pubblicità e le tutele derivanti dall’atto di convivenza pubblicizzato sono differenti a seconda dei professionisti che intervengono nella fase di controllo, registrazione e pubblicazione.

In particolare, solo un contratto di convivenza redatto da Notaio con atto pubblico – conservato nella sua Raccolta – garantisce una serie di maggiori sicurezza, tutela e diritti. Ciò in quanto l’atto – ai fini di raggiungere la conoscibilità legale a favore di chiunque ne sia interessato propria del sistema pubblicitario, non invece la conoscenza in concreto – deve individuare gli elementi che con certezza garantiscono che si tratti proprio di quell’atto nella sua unicità. Ecco, allora, come i requisiti di un atto notarile conservati a Raccolta (indicazione del nome del Notaio, della sede e del numero di Repertorio) meglio rispondono a tale esigenza di identificazione inequivoca e trasparenza. Ancora, solo se vi è un atto pubblico conservato a raccolta da un Notaio, i terzi potranno avvalersi del loro diritto di far richiesta – ed ottenere – copie conformi dello stesso da parte dello stesso professionista ovvero – qualora non sia più in esercizio – all’Amministrazione degli Archivi Notarili. Altresì, l’atto redatto e conservato dal Notaio presso la sua sede in originale sarà pubblicizzato in modo da garantire opponibilità nei confronti di soggetti terzi rispetto allo stesso.

La legge 20 maggio 2016 n. 76, dunque, sembra aver creato – accanto alla tradizionale convivenza c.d. more uxorio assoggettata alle regole di diritto generale tra cui gli articoli 1322 e 1372 Codice Civile – una particolare ipotesi di convivenza che produce ulteriori effetti ed è assoggettata alla sua normativa speciale. Ancora, sembra abbia dato vita a due differenti forme di convivenza anche al suo interno: quella in cui il contratto di convivenza, se sottoscritto dai conviventi di fatto, è debitamente registrato, e quella – invece – in cui il contratto di convivenza non è stato posto in essere ovvero registrato.

Nel clima di perplessità e di poca chiarezza nel quale ancora oggi si muovono le tematiche sopra trattate, è auspicabile sicuramente un intervento legislativo chiarificatore, ma fondamentale è il quotidiano operato del Notaio come figura di alta professionalità, e differente dagli altri professionisti del diritto per la sua essenza bipolare di libero professionista e al contempo Pubblico Ufficiale. Il Notaio, infatti, essendo dotato di quel dovere di consiglio e di quell’attività di adeguamento, ben può realizzare da un lato una maggiore tutela personale dei conviventi in linea con il disposto e le finalità della legge speciale, dall’altro garantire la sicurezza dei loro traffici sul mercato mediante la conoscibilità legale e l’opponibilità ai terzi suggerendo la redazione di un atto pubblico conservato a raccolta previo esercizio del controllo di legalità.

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