In un contesto storico in cui l’Europa pare sotto assedio, è nelle piccole vicende quotidiane che emerge come la storia stia cambiando. In particolare, degna di nota pare la querelle che ha condotta alla sentenza della Cassazione Civile, sez. I, n. 15343 del 25 luglio 2016.
In breve, due cittadini pakistani avevano contratto matrimonio tramite il noto programma di comunicazione a mezzo internet skype: la sposa si è connessa on-line alla presenza di due testimoni, avendo dall’altro capo “del monitor” il futuro coniuge con autorità civile e altrettanti testimoni. Il problema è sorto quando la moglie ha richiesto la trascrizione in Italia del matrimonio, cui il competente Ufficiale di Stato Civile ha opposto un netto rifiuto per contrarietà all’ordine pubblico, causa assenza della presenza fisica di entrambi i nubendi. La decisione ha dato luogo ad un iter giudiziario in tre fasi (Tribunale, Corte d’Appello, Cassazione) che alla fine – ed in ogni giudizio – ha dichiarato l’accoglibilità del nostro ordinamento del matrimonio “a distanza”.
La vicenda ha due distinti profili che necessitano un piccolo approfondimento.
Il primo è quello giuridico, e non può che richiarmarsi la legge 31 maggio 1995 n. 218 (di “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”), la quale all’art. 28 preve che “Il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento”. E, come risulta appurato, in Pakistan il matrimonio per telefono (o via internet) risulta valido. Il Ministero dell’Interno, nel suo tentativo di “affogare nel diritto” la richiesta avanzata, ha alzato il muro dell’ordine pubblico, sostenendo che la non contestuale presenza dei nubendi sia contraria allo stesso per l’ordinamento italiano. Ma il Giudice di merito in due gradi e la Corte di Cassazione infine hanno ritenuto non sussistere alcun “vulnus” all’ordine pubblico, evidenziando l’elemento sostanziale (la volontà di contrarre matrimonio) in luogo di quello formale (le modalità dello stesso).
Il secondo è quello politico, che tocca questa vicenda per ricollegarsi inevitabilmente con altre: dal burkini, vietato in Francia e accolto in Italia (il Ministro dell’Interno Angelino Alfano ha nettamente chiarito “L’Italia è l’Italia, da noi non c’è il dilagare del fenomeno del burkini. E la Costituzione prevede la libertà di culto“) alla poligamia (“Se è solo una questione di diritti civili, ebbene la poligania è un diriito civile“, rivendica Hamza Roberto Piccardo, fondatore dell’Ucoii). L’ordine pubblico – in diritto costituzionale – è un classico “principio-valvola”, che muta con il cambiamento della società; se vogliamo – tuttavia – preservare un’identità sociale non si può, nell’indifferenza, spostare l’asticella sempre più in là ma si rende necessario porre dei paletti.
Il momento diventa pertanto decisivo, in un ordinamento che – a differenza (e per fortuna, si può aggiungere) dei sistemi anglosassoni – vede il potere giudiziaria come mera “bouche de la loi“, deputato ad applicare le norme prodotte dal legislatore. Questo, tuttavia, non può lasciare vuoti (è già successo con le unioni omosessuali; succederà a breve con le “step-child adoption”) scaricando sulla magistratura la responsabilità di riempirli raccogliendo plausi e critiche; la politica deve riappropriarsi della centralità decisoria anche oltre più o meno utili riforme costituzionali et similia, affrontando le vere sfide del multiculturalismo, che sono sempre più sul campo del diritto e dei diritti. E la prima scelta riguarda cosa si vuole tutelare: un modello di società occidentale con regole e valori, oppure un “libera tutti” che inizia sulla strada della “open society” sognata da George Soros per scadere nell’incubo del “Brave New World” anticipato con tragica lucidità da Aldous Huxley.
Tornando al caso specifico, il nostro ordinamento già prevede uno strumento finalizzato a permettere – in piena sicurezza e celerità – il matrimonio a distanza. La procura notarile ex art. 111 Codice Civile, infatti, risponde a tali requisiti, rimettendo ad un pubblico ufficiale la verifica dell’assenza di costrizione e libera volontà (via telefono, o skype, chi può assicurare che uno dei nubendi non sia sotto la minaccia di un pericolo condizionante?) e prevendo altresì una serie di limiti ed elementi tali da ricondurre nell’alveo dell’eccezionalità l’ipotesi. In tal senso, e senza per questo volere contestare le ricostruzioni della magistratura, viene spontanea una considerazione. La presenza del Notaio, la limitazione a casi specifici, i vincoli contenutistici e temporali, l’espressa circoscritta previsione normativa, sembrano ricondurre l’assenza fisica di entrambi i coniugi in sede di celebrazione ad un’ipotesi anomala; argomentare, pertanto, che già il nostro ordinamento prevede questa possibilità e quindi il matrimonio per telefono non ha profili di contrarietà all’ordine pubblico pare una ricostruzione troppo debolmente consequenzialista. Ragionando, invece, a contrario, si può affermare che se le nostre norme prevedono così numerose cautele, evidentemente le stesse sono poste a presidio di elementi fondanti della nostra società, per quanto i principi-valvola possano essere (ritenuti?) elastici.
Dunque, cosa fare? In primis, si insiste, la politica riacquisti la propria centralità abbonandando la timidezza normativa in quei settori che sono così lontani dai propri prossimi interessi di bottega ma rappresentano in verità il terreno di controno per l’Italia che vogliamo. In secondo luogo, in uno Stato costretto a delegare ma che non deve (e non può!) rinunciare al proprio potere ed onere di controllo si valorizzi la figura dei pubblici ufficiali a ciò delegati, fra cui i Notai. E ove, all’estero (in quei pochi Stati, perché ormai l’avanzata inarrestabile del Notaio come in Italia conosciuto copre oltre il 60% della popolazione mondiale) questa figura è assente, si rimandi al corrispettivo nei locali ordinamenti. In tutto questo, una sola certezza: dobbiamo aprirci ad altre culture e coniugare il nostro sistema giuridici a modelli e norme sociali nuove, ma non dobbiamo per questo rinunciare ai nostri principi.
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