Stesso mare, stessa spiaggia, ma il bagnino dov’è?

da | 23 Ago 2016 | politica

La sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 14 luglio 2016 ha posto la parola fine ad una lunga querelle che contrapponeva da parecchi anni Italia – rectius: operatori balneari tricolori – e la Bruxelles del turboliberismo.  La decisione, come noto, smantella il pluridecennale sistema concessorio che caratterizzava le nostre spiagge aprendolo agli appetiti stranieri. Ma, prima di valutazioni e proposte giuridiche, è opportuno un breve riepilogo.

Correva l’anno 2004 quando l’olandese Frederik Bolkestein – commissario europeo per il mercato interno con presidente Romano Prodi, un passato al servizio di multinazionali quali Royal Dutch Shell e Merck & Co., ed un futuro ancora lontano che lo porterà a dichiarare, meno di un decennio dopo, che “L’unione monetaria ha fallito“- presentava alla Commissione una direttiva espressamente finalizzata a  liberalizzare e de-regolamentizzare il mercato europeo dei servizi. Fin dall’inizio il testo proposto ha subito critiche e rifacimenti (in particolare ad opera degli “amici” tedeschi e francesi, che si preoccupavano – nell’inattivismo italiano – di preservare alcuni propri presidi, quali i mercatini natalizi sul fiume Reno) giungendo in ogni caso alla definitiva emanazione a fine 2006. Il nostro Paese provvedeva infine al recepimento della direttiva con conclusiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 23 aprile 2010.

Subito, tuttavia, si apriva un fronte interno assai delicato: le concessioni demaniali relative, in particolare, alle spiagge. A fronte, infatti, di alcuni ricorsi la Giustizia Amministrativa era costretta ad avanzare perplessità circa la compatibilità, con la direttiva in questione, del meccanismo dell’automatica proroga delle concessioni. Nel nostro Paese, secondo una consolidata tradizione nazionale, si è cercato di rinviare il problema, intervenendo con una serie di decreti, l’ultimo nel 2012 sotto il governo Monti, che posticipavano al 2020 la scadenza ultima, impegnandosi – ovviamente – nel mentre a disciplinare l’intera materia.

Purtroppo Bruxelles pare essersi definitivamente stancata di questi “pagherò normativi” che non vengono mai saldati e così si è giunti all’ultima decisione che, seppure attesa, ha gettato nel panico l’intero settore. E come ha reagito il nostro Parlamento? Ovviamente con l’ennesima proroga, sotto forma di un emendamento al decreto Enti Locali approvato dalla Commissione Bilancio della Camera con cui si reitera la validità delle concessioni nell’attesa di una legge-quadro. Di certo un’enorme, rapida (l’emendamento è stato approvato la settimana successiva la sentenza) dimostrazione di attenzione ad un problema concreto, ma siamo sicuri sia compatibile con quando deciso in Lussemburgo?

Il vero tema, tuttavia, ad ora, è sicuramente quello della legge-quadro e nei limiti in cui il legislatore potrà muoversi per non violare la normativa comunitaria da un lato e tutelare una specificità italiana dall’altro. Non si nega, infatti, che l’attuale sistema abbia serie criticità necessariamente da superare (la modestia dei canoni; l’automaticità del rinnovo; l’opacità fiscale), ma lo stesso, ad oggi, interessa circa 30.000 imprese per oltre 170.000 lavoratori. Se ci si è – giustamente – attivati con misure straordinarie per il caso ILVA ed i suoi 12.000 dipendenti, sarebbe ipocrita ai limiti del catastrofico disinteressarsi per un intero comparto che ha numeri oltre dieci volte maggiori.

Il vero timore è che l’indiscriminata apertura, sul mero valore economico del prezzo d’aggiudicazione d’asta, regali le nostre spiagge a multinazionali straniere, spazzando via la piccola imprenditoria locale. Qualcuno, ovviamente, già parla di risparmi – in termini di costi di ombrelloni e sdraio – per l’utente finale, dimenticando in toto i notevolmente più gravosi oneri per la collettività: i lavoratori disoccupati, le imprese che falliscono, i guadagni non tassati che finiscono in qualche controllata a Dublino o in Olanda (i casi FCA ed Apple insegnano). Purtroppo la cifra comune alle liberalizzazioni europee è rappresentata dalla sostituzione di tanti operatori di mercato con soggetti di ben più grandi dimensioni, una temporanea e modesta riduzione dei costi finali, seguita da generali maggiori oneri a carico del sistema-Paese. In contemporanea, sul fronte giuridico, la concentrazione dei soggetti che erogano il servizio conduce ad una standardizzazione della contrattualistica a danno dei consumatori, sempre meno tutelati da un legislatore facilmente preda delle sollecitazioni lobbistiche, con una magistratura conseguentemente inerte. Vogliamo questo per le nostre spiagge?

La soluzione, rimanendo – per ora – in questa Europa, non può che passare per una legge-quadro che apra al sistema delle aste prevedendo tuttavia paletti a tutela della trasparenza e sostenibilità del sistema. Non si vuole chiudere il mercato ad operatori nuovi o stranieri, ma essere certi che il loro ingresso significhi veramente più qualità e vantaggi per i consumatori, sia nella loro veste di cittadini che di utenti. Pertanto, ad esempio, a tutela degli investimenti fatti (e per incentivarne ulteriori, disinnescando il rischio di perdere quanto realizzato) si può prevedere – oltre ad una congrua durata della concessione – un diritto di prelazione in sede d’aggiudicazione, concedendo al soggetto già titolare la facoltà di “pareggiare” l’offerta di terzi interessati. Sotto il profilo della qualificazione professionale degli operatori, mutuando il meccanismo previsto in ambito agricolo solo ai fini fiscali, si può prevedere la necessità di determinati titoli in capo agli imprenditori individuali concessionari o a coloro che rivestono la carica di amministratore nelle società coinvolte. Infine, riprendendo quella che ho già illustrato essere una necessità per l’intero sistema Italia, si dovrebbero escludere dalle aste tutti quei soggetti giuridici in cui non sia possibile identificare il definitivo titolare effettivo persona fisica. Così facendo si terrebbe al riparo l’intero comparto dal mondo di fondazioni lussemburghesi, società anonime, Panama-papers ed altri veicoli finalizzati ad evasione e riciclaggio.

Anche in questo caso la sfida per operatori e legislatore pare impegnativa. Si auspica una pronta risposta (alcune regioni, ad esempio la Liguria, si sono già attivate autonomamente)  a livello nazionale, perchè la Repubblica non può permettersi né procedure d’infrazione e né di regalare il proprio “oro marittimo”. Se il turismo ci salverà, allora iniziamo a salvare gli Italiani che di turismo vivono.

 

Fabio Cosenza

Notaio

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