Dati incoraggianti dal mercato immobiliare, ma il futuro?

da | 5 Nov 2016 | immobiliare, politica

L’ISTAT, attingendo ai dati statistici forniti dai Notai italiani, comunica che il secondo trimestre del 2016 ha visto un incremento – quantitativo – delle transazioni immobiliari, che hanno sfiorato quota 195.000. La fase di crescita coinvolge anche i mutui che superano quota 109.000. La notizia induce all’ottimismo e aumenta gli spiragli di luce in un settore che già aveva visto segnali incoraggianti, dopo il crollo che aveva toccato il punto più basso nel 2013, con il dato annuale di appena 400.000 compravendite. Siamo veramente fuori dalla crisi? E’ ora di ricomnciare ad investire nel mattone? Sono domande ineludibili a cui è necessario rispondere con una riflessione in più momenti.

Innanzitutto va rimarcata la positività dei dati e sottolineato – in particolare – l’andamento espansivo degli stessi. Se andiamo oltre il numero degli atti e ci soffermiamo sulle singole unità immobiliari compravendute (circa 304.000) si può evidenziare un netto incremento sia rispetto al medesimo periodo del 2015 (circa 250.000) che al primo trimestre di quest’anno (circa 245.000). In particolare il dato degli scorsi aprile-maggio-giugno è il migliore da gennaio 2015, superando l’importante soglia psicologica di 300.000: non si deve brindare ma almeno sorridere.

E’ plausibile ipotizzare che il mercato sia aiutato da almeno tre fattori assai distinti tra loro. In primis la presenza (ormai endemica) di tassi d’interesse bancari assai ridotti che aiutani i mutuatari in particolare e gli investimenti in generale. In secondo luogo un andamento dei prezzi che continua a scendere. Infine un regime fiscale (tra tassazione e incentivi per ristrutturazioni e acquisti) che cerca di favorire le compravendite. Ognuno di questi elementi – tuttavia – ha un impatto e un possibile futuro assai diverso.

Gli istituti di credito continuano ad offrire tassi bassi, aiutati dalla BCE, ma stanno iniziando a selezionare con più attenzione i propri clienti, tutte ormai scottate dal rischio crediti non performanti. L’esperienza sul campo suggerisce che fenomeni quali mutui oltre il 100% siamo ormai riservati ad istituti più piccoli fuori dai controlli comunitari il cui futuro – se insistono con certi mezzi per sopravvivere sul mercato – è segnato. Ma anche i clienti iniziano ad essere più attenti, soprattutto se ben assistiti, non facendosi più convincere soltanto da un basso tasso d’interesse ma prestando attenzione anche alle spese accessorie e alla capacità di avere un confronto diretto con il proprio istituto. Sul punto, il fenomeno surroghe è sicuramente in parte scemato, ma non in maniera così netta, smentendo chi – fra cui non ho paura ad inserirmi – pronosticava che avesse fine una volta terminati per esaurimento da rinegoziazione i vecchi mutui a tassi elevati risalenti ad oltre cinque anni fa. Di certo, si inizia a vedere qualche nuvola sul denaro a costo così basso. Già il Consiglio tedesco dei saggi economici fa pressioni su Mario Draghi affinché interrompa il cosiddetto quantitative easing, in nome di una ripresa che – secondo Berlino – non va più aiutata. In Italia possiamo avere qualche dubbio, ma l’Europa è una colonia tedesca in cui la nostra voce diventa sempre più irrilevante. Le stesse banche difficilmente potranno continuare ad offrire mutui a tassi così contenuti, cui consegue un’inesorabile contrazione dei margini. Il caso Deutsche Bank, protagonista molto aggressiva sul comparto surroghe negli ultimi mesi, già traccia i possibili rischi per chi ha inseguito solo i numeri e non la sostenibilità dei prestiti: bail-in, licenziamenti, modifica delle condizioni contrattuali, salvataggi pubblichi o ricerca di improbabili cavalieri bianchi.

La stessa continua contrazione dei prezzi della case non è un elemento da accogliere con favore. Di certo rappresenta – ad oggi – lo strumento che ha permesso di porre sopra la propria testa un tetto per chi fino a pochi anni fa si trovava tagliato fuori dal mercato, ma diventa altresì un enorme deterrente per chi vuole investire. Non solo: i proprietari di oggi rischiano di diventare i rivenditori – sfortunati – di domani, che vedranno bruciati parte dei loro risparmi. Il bene-casa pare così condannato ad un vero e proprio regresso economico, diventando dalla prima e più sicura fonte d’investimento del nostro Paese ad un costo che soltanto i più ricchi possono permettersi: esattamente come prima dell’avvento dell’era moderna. Il fenomeno, bisogna ammettere, pare alimentato anche da nuovi istituti (ad esempio il prestito ipotecario) e dalla narrazione turbo-liberista che vede la casa di proprietà come un limite alla mobilità sociale (parole dell’ex Premier Mario Monti). Non si può che rigettare certe conclusioni e ricordare come il boom economico italiano sia stato – letteralmente – costruito sull’edilizia e sulla possibilità – per tutti – di acquistare un’abitazione. Ed invece proprio la paralisi del mercato immobiliare ha sprofondato il Paese nel buio degli ultimi anni. Tuttavia, se si continuerà verso questo percorso – ideologico e giuridico – l’ineluttibile conseguenza sarà un’iniziale e continua contrazione dei prezzi cui conseguirà una sempre maggiore concentrazione del patrimonio immobiliare in pochi mani. Dal latifondo agricolo a quello residenziale: un passo indietro spaventoso.

La stessa ampia normativa di favore in ambito fiscale (imposte contenute per acquisti all’asta; detrazioni per ristrutturazioni; rimborso IVA per immobili da costruttore in determinate classi energetiche; assegnazioni agevolate; et coetera..) rappresenta un importante elemento di sostegno al comparto che ha però intrinsici limiti. In primo luogo, costituisce quello che per il drogato può essere la sostanza stupefacente: uno stimolante la cui dose deve costantemente aumentare per sortire ancora effetto. In secondo luogo, rappresenta un costo che il sistema Paese potrebbe non permettersi. E questa limitazione più che essere interna deriva – come ormai costante – dai vincoli comunitari. La nostra manovra (generosissima, anche in ottica referendaria) è sotto gli occhi vigili degli eurocrati che già hanno inviato la prima missiva di richiamo. A prescindere da come andrà il 4 dicembre è innegabile che ci dovranno essere importanti ritocchi alla legge di stabilità finanzaria; ritocchi che – per essere chiari – si chiameranno tagli. E fra il necessario sostegno alle zone terremotate, la sanità ormai esangue, i contributi agli enti locali che non esistono più, il cassetto più capiente ove andare a togliere qualcosa sarà l’immobiliare.

In breve, dati rosei ma futuro nero? No, non si vuole essere così pessimisti, ma tuttavia cercare di fare pulizia da facili entusiasmi. L’andamento positivo del mercato immobiliare non deve infatti rassenarci o addirittura cullarci nell’illusione di una crisi alle spalle, ma rappresentare un trampolino su cui lavorare per cercare di dare una vera consistenza alla ripresa economica. E tutti i tre gli elementi sopra considerati necessitano di un intervento ulteriore. Certo non si può imporre tassi d’interesse alle banche, ma le si può costringere ad insistere nell’opera di pulizia – dei vertici e degli azionisti in odore di conflitto d’interesse, prima che dei crediti deteriorati – al loro interno, sostenendo altresì l’operato di Mario Draghi sul quantative easing e ricordando alla Germania che in Europa non si parla solo tedesco. Altresì non è possibile costringere gli acquirenti a pagare di più le proprie abitazioni; ma forse è necessario ricostruire la propria domanda interna, tramite politiche che permettano ai nostri giovani di avere stipendi certi e un futuro concreto. Contratti con più tutele nel privato, assunzioni nel pubblico, tariffe e riserve di competenze certe nel mondo delle professioni sono solo tre piccoli passi con cui cambiare un Paese. E non sono infine così folle da suggerire di volere abbandonare le politiche fiscali d’incentivo adottate nel comparto immobiliare. Ritengo però che vadano in parte riviste (in particolare per stimolare la vendita del nuovo) nonché accompagnate da veri interventi a favore delle famiglie. Winston Churchill diceva che non c’è miglior investimento per un Paese che mettere latte nei propri bambini. E – aggiungo io – anche permettere ai genitori di avere un tetto di proprietà sulla testa non mi pare una cattiva idea.

Fabio Cosenza

Notaio

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