Svetonio, in “Vite dei Cesari”, ci ricorda una compiaciuta citazione di Augusto, che avrebbe detto, riferito a Roma: “Ho trovato una città di mattoni, ve la restituisco di marmo“. La frase ben tratteggia l’attenzione che il legislatore, ed infatti già ai tempi dei Cesari non si lesinarono attenzione e perizia nel formare un insieme di norme e divieti tesi a regolamentare le opere costruttive, con il fine ultimo di tutelare salute e sicurezza collettivi. A distanza di due millenni cronaca e diritto sembrano invece raccontare un’altra storia.
Lo scorso 11 dicembre – infatti – sono entrate in vigore le modifiche al Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) contenute nel decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222. La finalità dichiarata dell’intervento normativo è – ovviamente – quella di semplificare, nel solco dello Sblocca Italia del 2014 e del Decreto del Fare del 2013; in breve pare che il problema del comparto delle costruzioni in Italia sia un eccesso di controlli e burocrazia e non una ridondante domanda a fronte di una richiesta asfissiata dalla crisi economica. La soluzione, anche in questo caso, è stata individuata nella responsabilizzazione del privato ed eliminazione di verifiche preventive.
Ma prima di andare alle valutazioni sul merito – che concluderanno – si riassumono brevemente le principali novità normative.
In primo luogo è stata eliminata la CIL (comunicazione di inizio attività), rendendo una serie di interventi cosiddetti di “edilizia libera” totalmente svincolati da ogni richiesta o comunicazione; si tratta, generalizzando, di opere ordinarie a cosiddetto presunto “basso impatto” (ad es. installazione di pompe di calore; pavimentazione di aree esterne, ricerche temporanee nel sottosuolo, et coetera).
Si è invece ampliato l’ambito di applicazione della CILA (comunicazione di inizio attività asseverata, da redigersi su moduli comunali e da presentare accompagnata da una relazione del tecnico abilitato), elevata ad ipotesi residuale da utilizzarsi in tutti i casi in cui non si rientra nella previsione di altri titoli o permessi oppure di edilizia libera.
Il nuovo ruolo riconosciuto alla CILA sostituisce, sul punto, lo spazio in precedenza attribuito alla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), che viene confinata in ipotesi predeterminate (ad es.: manutenzione straordinaria, restauro conservativo, realizzazione di parcheggi nel sottosuolo, et coetera), con definitiva scomparsa di DIA (denuncia di inizio attività) ed anche della cosidetta super-DIA. Quest’ultima, in particolare, che già poteva essere utilizzata in alternativa al permesso di costruire, vede “sopravvivvere” solo il vincolo temporale di 30 giorni prima dell’inizio dei lavori.
Si è infine messo ordine in materia di agibilità, tema che ha visto l’accavallarsi nel corso dei decenni di problematiche varie (non necessarietà ai fini del trasferimento, concorso con abitabilità, modalità di rilascio) e che ora potrà essere attestata mediante un’autocertificazione da presentarsi entro 15 giorni dal termine dei lavori al locale Sportello Unico per l’Edilizia. Tramonta così il meccanismo del “silenzio-assenso”, sostituito da un controllo a campione successivo. La nuova agibilità è in breve una segnalazione certificata di conformità dell’opera alle condizioni di sicurezza e igiene del bene e degli impianti installati, al progetto presentato, alle norme in materia di barriere architettoniche, corredata da un certificato di collaudo statico e dagli estremi degli aggiornamenti catastali.
In conclusione, come valutare queste modifiche? Quali impatti potranno realmente avere sul comparto edilizio? Saranno determinanti – o almeno utili – per sostenere la ripresa nel settore? Domande non facili a cui si vuole evitare di dare risposte troppo semplicistiche.
Merita sicuramente un plauso l’intervento in materia di agibilità, che cerca di razionalizzare uno strumento che ha conosciuto fin troppa confusione e che, con la previsione di un certificato di collaudo statico in un Paese in gran parte a rischio sismico, finalmente pone l’attenzione su problemi concreti.
L’intero restante percorso di semplificazione lascia – invece – enormi dubbi. Come già indicato, infatti, non sono di certo i controlli a frenare la nostra edilizia ma una crisi economica che taglia i consumi e condiziona l’erogazione del credito alle famiglie. Un giovane che vuole comprare casa non ha il problema di districarsi fra DIA, CIL e permesso di costruire ma – più prosaicamente – di avere un lavoro. I controlli non nascono per paralizzare ma per tutelare la collettività; Augusto lasciò una Roma di marmo e regole urbanistiche , per evitare le rovine degli edifici e i conseguenti danni a Res Publica e singole persone. La semplificazione può di certo essere uno degli strumenti per rendere più rapida (ed efficiente) l’iniziativa privata, ma deve essere – innanzitutto – manifesto come la stessa non sia altro che una responsabilizzazione del cittadino. Quest’ultimo si trova – tuttavia – in una situazione di carenza informativa perché non può – ovviamente – procedere ai lavori in autonomia ma deve avvalersi di un tecnico, di cui però difficilmente è capace di valutare l’affidabilità. Il criterio ultimo diviene quindi l'”economicità” e l'”accondiscendenza” ad assecondare le richieste del committente, con le scontate conseguenze che la recente cronaca ci insegna (Da Il Messaggero del 7 giugno 2016, relativo ad un crollo di un palazzo in zona Flaminio avvenuto lo scorso gennaio: “Un progetto complesso stilato dal titolare di una ditta edile, che non aveva nessuna abilitazione in architettura o in ingegneria. Per ottenere i permessi necessari, infatti, il bozzetto in questione è stato vistato e siglato da un geometra. Un professionista che, secondo gli inquirenti, avrebbe dato per buono con troppa superficialità quel prospetto lacunoso e, si è appreso dopo, pericoloso.“). Ed il costo di una semplificazione senza regole e di un professionista incapace non ricade sul singolo privato ma su tutta la collettività, fra perdite di vite umane, costi di ripristino, risarcimenti privi di consistenza causa assenza di beni da aggredire e lentezza dei procedimenti, paralisi di attività commerciali coinvolte. E’ pertanto evidente che la “semplificazione che significa responsabilizzazione” in un contesto di asimmetria informativa (il famoso “mercato dei limoni” di George Akerlof) rischia di essere letale e necessita di un correttivo, che permetta di indirizzare il committente verso scelte oculate per lui e tutelanti per tutti. In questo contesto, l’unica soluzione è la previsione di una tariffa professionale per gli operatori del comparto (geometri, ingegneri) flessibile ma con limiti invalicabili al ribasso e al rialzo, che garantisca agli stessi un giusto riconoscimento economico ed elimini i soggetti che – in assenza di capacità – sopravvivono, spalmando i costi finali su tutti noi, solo in forza di ribassi ed accettazione di pratiche e richieste oltre il limite del rischio. Sul punto però il legislatore drogato di turbo-liberismo è stato, more solito, drammaticamente silente.
Regole e controlli sono alla base della civile convivenza e rappresentano il motore dello sviluppo. Fra gli stessi vi è un rapporto che si può descrivere come di inversa proporzionalità: se ci sono più regole possiamo avere meno controlli (perché la devianza diventa subito riconoscibile), ma se ci sono meno regole dobbiamo avere più controlli (perché è necessario valutare bontà e liceità dell’attività svolta). E la previsione di oneri e competenze universalmente noti e chiari rappresenta il primo strumento di giudizio dell’attività svolta, perché sposta inevitabilmente l’attenzione sulla qualità del lavoro. Si dia dunque spazio – in edilizia come altrove – alla semplificazione, ma la si sostenga con altri interventi – e si ripristino subito le tarife professionali! -, altrimenti tutta Italia, e non solo un palazzo al Flaminio, rischia di rovinare fra i mattoni e sabbia, duemila anni dopo i marmi di Augusto.
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