I bestiari medioevali erano pieni di animali, dall’ircocervo al basilisco per citarne un paio, che la moderna zoologia ha consegnato da tempo al mondo della fantasia. Fra i tanti, tutti conosciamo l’unicorno, aggraziato cavallo – con poteri magici e capacità taumaturgiche – provvisto di una protuberanza frontale. Qui il mito per un momento scivola nella storia, con Marco Polo che addirittura narra di averne incontrato uno a Giava. Ma la realtà – come spesso accade – perde la poesia della fantasia e l’animale che il grande viaggiatore incontrò nei suoi trascorsi asiatici era – probabilmente – un meno magico ed aggraziato rinoceronte locale.
Anche nel moderno diritto vi sono istituti mitici, dotati di poteri magici, descritti come soluzione di ogni problema, frutto di ordinamenti stranieri e quindi arricchiti anche da un tocco di esoticità: è il caso del trust. Ovviamente, come per l’unicorno, uno sguardo da vicino rivela una struttura molto meno aggraziata – e con qualche criticità in più – di quello che il bestiario favoleggiava, per tacere delle possibilità giuridiche autoctone (fondi patrimoniali; vincoli di destinazioni; fondazioni) con finalità in parte analoghe – ma minore pubblicità a sostegno – a torto scartate. Ed in tutto questo quando le aspettative dell’operatore si scontrano con la ruvidezza della norma – oltre ai vari e autorevoli contributi dottrinali – rimane solo una certezza per superare i problemi: la giurisprudenza.
Per questo motivo risulta importante segnalare la recente sentenza della Corte di Cassazione (la numero 2043 depositata il 27 gennaio 2017) la quale – ponendo un netto principio di diritto – apre le porte ad importanti risvolti pratici. I giudici del Palazzaccio, infatti, chiariscono (richiamando anche un precedente del 2015 sul punto) come il trust sia privo di personalità giuridica e costituisca un semplice “insieme di beni e rapporti” (richiamando l’introduzione, “l’unicorno non esiste“). Questa statuizione ha una prima – notevole – conseguenza che la Corte expressis verbis presenta: unico titolare (e quindi legittimo disponente) dei beni conferiti in trust è il trustee. E da ciò deriva che iscrizioni e trascrizioni devono essere a favore e contro il trustee e non il trust, che non esiste. E dove ciò non sia avvenuto? Per quanto riguarda ciò che è stato conferito nel trust non si ha l’effetto segregativo e pertanto i beni sono ancora liberamente aggredibili e non destinati. Relativamente, invece, alle formalità contrarie (e la pronuncia parte proprio da una vicenda del genere), se sono state eseguite contro il trust non hanno alcuna efficacia (nel provvedimento si parla – in maniera più che netta – di “fattispecie giuridicamente impossibile“).
La decisione della Suprema Corte conduce a due distinte considerazioni. Da un punto di vista prettamente pratico e cogente si rende necessario “verificare” i trust già costituiti al fine di valutare – ed eventualmente correggere – le relative formalità. Ritengo – ma è uno spunto personale – che si possa procedere, per quanto riguarda i beni immobili, con una nota in rettifica con cui “accogliere” il nuovo orientamento. Sul punto ci si deve interrogare sulla decorrenza dell’opponibilità a seguito della variazione, se dalla data della stessa ovvero dall’originaria formalità. Se è vero – infatti – che la nuova nota esiste se e solo se collegata alla precedente, la netta affermazione della Corte di Cassazione nel senso di un’impossibilità giuridica dell’iscrizione contro il trust necessita di un’attenta valutazione. Unitamente all’aggiornamento dei Registri Immobiliari si renderanno altresì necessarie le relative volture catastali. Sotto un profilo, invece, sistematico, è evidente, ancora una volta, la difficoltà di coordinamento tra ordinamento nazionale ed istituti introdotti – sic et simpliciter – dall’estero. In materia di trust – in particolare – è vero che la legge 16 ottobre 1989 n. 364 ha ratificato la Convenzione dell’Aja riconoscendoli anche per il diritto italiano, ma da allora i problemi non sono di certo cessati. Anzi, l’aver accolto la figura giuridica senza disciplinarne esattamente una serie di profili – e cito, disordinatamente: la tassazione, l’accoglibilità dei trust interni, ora le formalità pubblicitarie – ha portato ad una proliferazione del contenzioso, su cui continua ad esprimersi dottrina e giurisprudenza. E’ evidente, pertanto, come, a livello generale oltre al caso in trattazione, si renda necessaria una puntuale riappropriazione della potestà legislativa a livello nazionale, superando questa fase di mero recepimento di produzione normativa estera o interna ad opera di soggetti (vedi autorità indipendenti) privi di alcuna legittimazione sul punto. Lo sviluppo del Paese non può prescindere da una locale, rappresentativa e puntuale gestione dei propri istituti giuridici.
0 commenti