Nella Prussia di Federico il Grande il povero mugnaio Arnold di Potsdam mostrò così tanta fiducia nella giustizia da recuperare il suo mulino e lasciare ai posteri la celeberrima frase colma di speranza “ci sarà pure un giudice a Berlino“. Passano più di cento anni e si cambia paese (l’Italia appena unita) e tocca invece al nostro statista Giovanni Giolitti dovere commentare che “la legge si applica con gli amici e si interpreta con i nemici“.
Due citazioni, due protagonisti, due vicende storiche, il tutto così diverso ma che ben aiuta a descrivere il caos e le polemiche che – fra musei ed aule dei tribunali – percorrono l’Italia a seguito delle sentenze del TAR Lazio (n. 6171 e 6170) con cui sono state bocciate cinque nomine ai vertici di alcuni “super-musei” italiani, fulcro della riforma nel settore voluta dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. In particolare, le censure evidenziate dai giudici amministrativi riguardano due distinti profili: il primo relativo all’accesso all’incarico di cittadini stranieri, il secondo al meccanismo di selezione.
Non si vuole in questa sede commentare nel merito le sentenze, non essendo il luogo, non avendo il sottoscritto una vocazione “amministrativista” e pendendo ancora la finale decisione del Consiglio di Stato cui è stato presentato ricorso. Incidentalmente, circa l’impossibilità di nominare direttori cittadini stranieri, si può ricordare come la norma incriminata (l’ormai citatissimo art. 38 del decreto legislativo n. 165/2001, che riserva agli italiani alcune posizioni chiave nel sistema Paese) fu voluta da un Governo con Dario Franceschini sottosegretario e non è stata ritoccata in sede di art. 14, comma 2-bis, del decreto legge n. 84/2014, convertito in legge n. 106/2014 (in breve la riforma voluta dal Ministro); in breve se non vogliamo parlare di figuraccia (ipse dixit) almeno di disattenzione, ma non andiamo oltre e qui stronchiamo ogni velleità di polemica politica.
I profili di censura relativi invece alle modalità di selezione richiamano invece con veemenza la nostra attenzione. Il TAR evidenzia infatti una totale mancanza di trasparenza in sede valutativa, con colloqui svolti a porte chiuse o addirittura a mezzo strumenti di comunicazione a distanza, contesti totalmente incompatibili con una selezione che deve essere – necessariamente – pubblica. Non si vuole tuttavia partire lancia in resta contro l’Esecutivo ed è opportuno dare immediato spazio a qualche controdeduzione critica. In particolare, alcuni dei candidati erano cittadini stranieri impegnati in attività direttive in istituzioni lontane dall’Italia da cui difficilmente si sarebbero potuti allontanare con facilità per il solo dovere “partecipare ad una selezione”; probabilmente la necessità di una fisica presenza avrebbe potuto dissuadere qualcuno e ridurre l’alveo dei potenziali interessati. Ed anche il procedere a porte chiuse può rispondere a logiche selettive meritorie, con ogni “potenziale futuro direttore” libero di esprimersi anche in ordine alla immaginata organizzazione dell’ente a cui aspirava senza il timore di vedere le proprie proposte copiate o oggetto di strumentalizzazione.
Questa vicenda – ripulita dall’inevitabile connotazione politica e dalla riconduzione ignobile ad uno scontro con la magistratura – in verità si ricolloca nel contesto di uno dei temi centrali per la ripresa e lo sviluppo dell’Italia: la gestione della “res publica” a mezzo concorsi e bandi a prova di infiltrazioni o condizionamenti, vincendo così la sfida con la corruzione. Lascia interdetti notare come una maggioranza ed un esecutivo che tanto hanno insistito su questa problematica con soluzioni importanti e diverse (dalla creazione dell’ANAC affidata al dott. Raffaele Cantone, fino al nuovo Codice degli Appalti Pubblici) ora ignorino che i rilievi del TAR circa la mancanza di trasparenza si inseriscano inequivocabilmente nel medesimo solco. La risposta non può e non deve essere un’invettiva contro la giustizia amministrativa o norme tacciate di cavillosità, ma meccanismi di selezione più rapidi e più trasparenti. Si può valutare un candidato via skype, ma con garanzie di certezza. Si può procedere a colloqui a porte chiuse, ma con sicurezza di imparzialità.
Così argomentando diventa naturale suggerire la presenza di una figura terza – selezionata attraverso un pubblico concorso, provvista di pubblico potere e dotata di naturale equidistanza fra tutti gli interessi coinvolti – che accerti le modalità di svolgimento del percorso selettivo e ne garantisca la legalità fin dal primo momento. Il notariato rappresenta l’ovvia candidatura istituzionale in questo ruolo, al fine di superare le attuali incertezze. Se i colloqui via skype o i confronti a porte chiuse fossero stati verbalizzati da un Notaio – che poi avrebbe riportato il tutto in atti pubblici a disposizione di eventuali interessati – probabilmente alcune delle censure del TAR sarebbero state superate ed ora una figuraccia (lascio a voi decidere se per l’Italia o per il Ministro) evitata.
L’ultima considerazione contiene non solo un auspicio per il futuro – con un invito per il legislatore a normare sul tema, istituzionalizzando una prassi in tal senso – ma anche una pressante indicazione per il presente. Continuano ad essere troppe le gare pubbliche che finiscono sotto gli occhi della magistratura, con continui rallentamenti in sede di assegnazione di incarichi, lavori, forniture, appalti, e costi – di giudizio e in ritardi – a carico di tutti. Alle amministrazioni e agli amministratori pubblici che non hanno nulla da nascondere dico di affidare i loro meccanismi selettivi al vaglio notarile in ogni fase, dalla ricezione delle offerte fino al momento valutativo per concludere con l’aggiudicazione. In questo modo non solo si sgraveranno gli enti da incombenze burocratiche con risorse e personale da destinare a più pressanti richieste della collettività, ma ci si trasformerà veramente in una casa di vetro. Ancora, si eviterà il rischio di contestazioni – con frequenti strascichi penali – capaci – anche laddove si giunga ad una decisione favorevole – di condizionare per sempre carriere e vite personali. E i costi? A carico – ovviamente, dove possibile – dell’aggiudicatario finale (in ipotesi di gare; per i concorsi relativi a personale provvederà l’ente che poi procederà al conferimento dell’incarico), secondo tabelle nazionali così da garantirne da subito la quantificazione.
Resta ora solo una domanda: chi vuole iniziare ad essere trasparente?
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