Il romanzo “Gente di Dublino” è probabilmente l’opera più famosa e celebrata (senza nulla volere togliere all'”Ulisse”) di James Joyce, con cui lo scrittore irlandese consegna ai posteri il proprio tributo alla città natale. Meno noto – forse – è tuttavia il legame che legava Joyce a Trieste, per la quale scrisse – in una lettera a Nora Barnacle – “la mia anima è a Trieste“.
Ed oggi se non le anime almeno le attenzioni di notai e giuristi in genere e di tutti coloro i quali hanno a cuore la certezza e la sicurezza delle operazioni immobiliari nel nostro Paese sono nel capoluogo giuliano, la cui Corte d’Appello ha accolto il reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale di Pordenone aveva ordinato al Conservatore dei Registri Immobiliari di provvedere alla trascrizione dell’accordo concluso a seguito di negoziazione assistita familiare contenente la cessione di diritti reali su immobile da un coniuge all’altro, privo di autentica notarile.
La vicenda – che aveva lasciato interdetti tutti i più seri operatori del diritto – è già stata oggetto di un mio precedente intervento – e vedeva una sovrapposizione di interessi di parte e ricostruzioni giuridiche che cozzavano contro dettato normativo, indicazioni comunitarie e tutela dell’ordinamento. Non si vuole in questa sede ripercorrere fatto e motivazioni – si ripete: inquietanti – che hanno portato all’ordinanza ora oggetto dell’accolto reclamo, in quanto voci ben più autorevoli di quella del sottoscritto si erano ampiamente spese sul punto.
E’ invece fondamentale sottolineare come questa decisione sia la prima in un secondo grado di giudizio ed interviene – finalmente – a fermare una prassi giurisprudenziale a cui anche altri Tribunali e anche altri giudici – seppur isolati – iniziavano a guardare con facile indulgenza. Benché l’Italia non conosca un sistema di common law basato sul precedente giurisprudenziale è innegabile che la tendenza ad accodarsi ad altri provvedimenti costituisca un rischio che la riconduzione al vero dettato normativo deve subito eliminare.
Il provvedimento della Corte d’Appello di Trieste – da quanto risulta dalle prime anticipazioni – stronca proprio in punta di diritto l’ordinanza reclamata, accogliendo i profili censuratori già da più parti illustrati. In particolare si sottolinea la portata generale dell’art. 5 del decreto legge 12 settembre 2014 n. 132, che non viene (e non può essere) derogata dal successivo art. 6 terzo comma. E’ espressamente richiamato inoltre l’art. 2657 Codice Civile, che identifica e circoscrive gli atti soggetti a trascrizione, chiarendo che detta limitazione (con particolare riferimento alla competenza esclusiva del Notaio) e la ratio stessa della norma sono finalizzate a tutelare tutti i cittadini e a garantire la corretta circolazione dei beni immobili.
Oltre la soddisfazione di vedere riconosciuti il proprio ruolo – sociale e di rilevanza pubblica per il Paese in primis – e le proprie ragioni l’intera vicenda conduce a doverose riflessioni che travalicano il mero dato giuridico.
Trieste – da sempre città geograficamente e storicamente europea – riconosce expressis verbis quanto la Corte di Giustizia ha già affermato a livello continentale circa il ruolo centrale del Notaio come garanzia per traffici e tutela dei diritti e che solo quale populista tricolore cerca di disconoscere. L’eco mediatica avuta da una modesta ordinanza di un Tribunale locale stenterà però ad essere cancellata, e si dubita che che il provvedimento della Corte d’Appello otterrà la stessa attenzione. In Parlamento già fioccava qualche iniziativa per rendere legge quello che legge non era, e si spera che – almeno per decenza – ora certi disegni possano evaporare. Il provvedimento reclamato (ed i suoi emuli) cadrà e si dovrà ripetere il trasferimento con l’intervento del Notaio; come sempre certa pubblicità gratuita di alcuni poco accorti conoscitori del diritto (se vogliamo credere fossero in buona fede) verrà pagata con le spese di giustizia a carico di tutta la collettività. In breve, tutta la vicenda nasconde un’enorme tentativo di smantellare la certezza dei nostri Registri Immobiliari – a danno, come sempre, dei cittadini più deboli – che solo la fermezza della magistratura più autorevole e i tanti commentatatori – soprattutto non notai – hanno arginato.
Chiudevo il mio precedente intervento sul punto chiedendo se volessimo un’Italia che guardasse ad Eboli o a Bruxelles. Per ora – almeno – possiamo rivolgerci sereni a Trieste.
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