L’apertura di una successione (che si realizza alla morte del de cuius) rappresenta un momento fondamentale per l’iter ereditario in quanto – introducendo le fasi di vocazione e delazione – genera in capo al chiamato (o a più chiamati) svariati poteri, primi tra tutti, il diritto di accettare – ovvero di rinunziare – all’eredità che gli spetta.
Il chiamato alla successione, dunque, ha – secondo la dottrina maggioritaria – un vero e proprio diritto potestativo: se da un lato può scegliere di accettare l’eredità in modo espresso – stipulando un vero e proprio atto di accettazione – ovvero tacito – semplicemente disponendo di uno o più beni appartenenti all’asse ereditario come fossero già parte del suo patrimonio –, dall’altro il diritto ad accettare l’eredità potrebbe venire meno per una serie di cause (si pensi all’eventualità della prescrizione o della decadenza), ma anche qualora il chiamato optasse per la rinunzia all’eredità.
La rinunzia all’eredità – nonostante la dottrina si divida tra coloro per i quali questa abbia natura di rifiuto impeditivo ovvero di rinunzia abdicativa a seconda che se ne intenda quale oggetto rispettivamente il patrimonio ereditario ovvero il diritto di accettare l’eredità – rappresenta quel negozio giuridico con il quale il chiamato manifesta la propria volontà di non acquisire l’eredità a lui spettante, e – dunque – di non ricoprire la posizione di “erede”. E’ un atto – unilaterale, actus legitimus ed inter vivos, formale, né gratuito né oneroso, di straordinaria amministrazione, non personalissimo né recettizio e limitatamente revocabile – mediante il quale il chiamato dismette il proprio diritto potestativo di accettare l’eredità senza però trasferirlo ad altri.
Che la rinunzia all’eredità sia – come l’accettazione – un diritto del chiamato si comprende dalla possibilità di revoca – espressa o tacita – della stessa, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 525 del Codice Civile, secondo cui “fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”. La ratio sottostante è quella di garantire al chiamato rinunziante di poter effettuare ancora l’atto di accettazione dell’eredità a cui inizialmente aveva rinunziato, seppur nelle limitazioni temporali e dell’acquisto da parte di altri chiamati che precisa la norma civilistica e che generano una coesistenza di diritto all’eredità del rinunciante nonché degli altri chiamati (Cassazione Civile 23 gennaio 2007 n. 1403).
Quando – ed entro quanto – il chiamato può scegliere se accettare ovvero rinunziare alla eredità? Il legislatore ci dà risposta solo in materia di accettazione dell’eredità – ma in dottrina risulta prevalente, nonostante il silenzio legislativo, estenderne le previsioni anche alla rinunzia all’eredità – prescrivendo, all’articolo 480 del Codice Civile, tra le varie fattispecie, la regola per il cui il termine è di 10 anni decorrente dal momento dell’apertura della successione. E’ vietata la rinunzia in qualsiasi altro momento di decorrenza ad esso precedente poichè si porrebbe in essere un patto rinunziativo successorio, nullo ai sensi del disposto dell’articolo 458 del Codice Civile.
La Corte di Cassazione ha di recente ancora una volta trattato del problema della rinunzia effettuata fuori termine decennale – c.d. rinunzia tardiva – analizzando probabili risvolti pratici di non facile risoluzione, ma potenzialmente frequenti nella prassi.
Si tratta della sentenza del 23 marzo 2017 n. 8053, con cui la Corte Suprema, ha reso ammissibile ed efficace la rinunzia tardiva proprio perché incardina “l’interesse del rinunziante a stabilizzare e chiarire la sua condizione di non essere erede”.
A tal proposito, la Corte ha precisato come la mera presentazione da parte del chiamato della denuncia di successione all’Agenzia delle Entrate non implica per costui la qualità di “erede, perché lo sarà soltanto quando provvederà – in modo espresso o tacito – ad accettare l’eredità”.
Nello specifico, la Corte fa valere la rinunzia tardiva all’eredità in cui risultavano esserci debiti fiscali escludendo che il rinunciatario potesse essere chiamato a rispondere di tali debiti del de cuius e che spetterebbe all’Amministrazione Finanziaria – che abbia intenzione di far valere tale pretesa fiscale – l’onere della prova che il contribuente nel termine decennale – ponendo in essere atti concreti – abbia tacitamente accettato l’eredità – dunque i debiti – del de cuius e sia da considerarsi “erede”.
Già nelle sentenze 31 ottobre 2016 n. 22017 e 16 gennaio 2017 n. 868, in realtà, la Corte si era espressa in termini analoghi sottolineando come il chiamato non accetta tacitamente l’eredità presentando la denuncia di successione e adempiendo al pagamento della relativa imposta: si tratta di semplici adempimenti fiscali – diretti ad evitare sanzioni – a scopo meramente conservativo, tali da annoverarsi tra gli atti che il chiamato, alla stregua dei poteri previsti dall’articolo 460 del Codice Civile, può compiere anche in un tempo precedente all’accettazione dell’eredità.
La posizione della Cassazione, a mio avviso, rileva – ed è puntuale e risolutoria – sotto un triplice profilo.
Innanzitutto, la Corte rassicura il chiamato precisando le modalità con cui – e le tempistiche entro cui – può ottenere la qualifica di “erede”. Si diventa “erede” – a prescindere dalle attività e dalle passività oggetto del patrimonio ereditario – soltanto accettando l’eredità, ex articolo 474 del Codice Civile in modo espresso ovvero tacito; non è una conseguenza immediata e diretta alla presentazione della denuncia di successione in Agenzia delle Entrate, né si può essere “erede” qualora – senza che vi sia revoca – vi si rinunzi tempestivamente o tardivamente. Altresì, la Corte di Cassazione con la già citata sentenza del 16 gennaio 2017 n. 868 aggiunge che la dichiarazione presentata in Agenzia delle Entrate può avere efficacia probatoria della qualità di “erede” ossia “in presenza di un’attività costituente prova d’accettazione dell’eredità, assume valore di elemento indiziario che nella prova stessa trova supporto e al contempo nel medesimo senso la rafforza” e spetta al giudice di merito analizzare di volta in volta gli altri elementi fattuali e l’intera documentazione ai fini di comprovare una implicita accettazione di eredità da parte del chiamato.
In secondo luogo – nei casi pratici analizzati dalla Corte – importante è l’effetto retroattivo della rinunzia all’eredità. In tal senso il combinato disposto degli articoli 521, comma 1, del Codice Civile, secondo “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” e l’articolo 525 del Codice Civile in materia di revoca di rinunzia. Il rinunziante, dunque, perde ab origine la qualità di “erede” e la rinunzia opera definitivamente al momento in cui uno o più degli altri chiamati acquistino la medesima eredità. Restano gli atti di conservazione ed amministrazione compiuti dal chiamato, ai sensi degli articoli 460 – 486 del Codice Civile; ancora – in applicazione ai principi generali in materia di successioni per cui l’acquisto dell’eredità è indipendente rispetto all’acquisto del legato o alla donazione – il rinunziante, ex articolo 521, comma 2, del Codice Civile, può ritenere donazioni o domandare legati a lui fatti “fino a concorrenza della porzione disponibile”.
Da ultimo, è da sottolineare la centralità del ruolo del Notaio anche in materia di rinunzia – oltre che di accettazione – all’eredità non tanto quanto ai profili pubblicitari (è pacifico come non sia da assoggettare a trascrizione l’atto di rinunzia del chiamato sia perché non ha ad oggetto beni immobili o mobili registrati bensì diritto personale ad accettare l’eredità sia perché non rientra nel disposto dell’articolo 2643 n. 5 del Codice Civile), ma quanto ai requisiti formali di cui la rinunzia deve dotarsi, a pena di nullità. Il Notaio, dunque, non solo è fondamentale in materia di accettazione espressa – perché realizza un atto apposito ai fini dell’accettazione – e tacita – perché con l’atto in cui il chiamato dispone di beni ereditari non ancora accettati, il Notaio adempie alla formalità pubblicitaria anche della previa accettazione tacita – ma assicura anche le corrette formalità dell’atto solenne della rinunzia all’eredità. Quest’ultimo, infatti, ai sensi dell’articolo 519, comma 1, del Codice Civile, “deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni”. Mentre nel caso di mancato inserimento nel registro delle successioni si determinerà quale effetto l’inopponibilità a terzi (Cassazione Civile 11 maggio 1967 n. 970), qualora venisse meno uno tra i requisiti formali previsti dalla norma sopracitata, la rinunzia posta in essere risulterebbe colpita da nullità.
Concludendo, è indubbio come la giurisprudenza – in parte puntualizzando precedenti posizioni, in parte aggiungendo novità – abbia previsto delle linee guide utili per il futuro a favore del chiamato all’eredità, circa i suoi diritti di accettare ovvero rinunziare all’eredità, le modalità e le tempistiche in cui esercitarli, i limiti ed i risvolti fiscali in materia di rinunzia tardiva all’eredità.
Ancora, è evidente come sia la Cassazione, quanto lo stesso tenore delle norme contenute nel Codice Civile disciplinanti il negozio giuridico della rinunzia all’eredità, implicitamente ed esplicitamente richiedono l’intervento del Notaio, unico professionista capace – a seguito di appositi controlli ex ante ed ex post rispetto all’atto da stipulare – di assicurare non solo il principio della continuità delle trascrizioni, ai sensi dell’articolo 2650 del Codice Civile, ossequio del più ampio principio della certezza dei traffici, ma anche la riduzione del contenzioso nelle materie oggetto del suo operato (c.d. funzione antiprocessuale) anche in un terreno reso fragile e tendente all’erosione dal rischio di fraintendimenti e dai dubbi interpretativi e pratici quale è quello del negozio della rinunzia tardiva all’eredità.
Grande la confusione sotto il cielo, diceva Mao-Tse-Tung, chiosando che – così – la situazione era eccellente. E se il primo inciso ben descrive lo scenario in materia di accettazione e rinunzia di eredità, il giudizio contenuto nel secondo è purtroppo non sottoscrivibile. Il contributo di cui sopra ben illustra – con puntuali riferimenti anche a dottrina e giurisprudenza – il contesto normativo e le ricostruzioni che lo accompagnano.
L’intervento della Cassazione risulta quindi una vera e propria boccata d’aria in un ambiente saturo di incertezze e conflittualità. L’ammissibilità della rinunzia tardiva permette di definire situazioni successorie che possono trascinarsi da anni. L’indicazione di non considerare la presentazione della dichiarazione di successione quale integrante l’accettazione di eredità libera dai timori chiamati bloccati fra l’incudine dei doveri fiscali e l’incudine dei risvolti civilistici.
Sul secondo punto – tuttavia – ancora vi sono profili critici. Precedente recente giurisprudenza di legittimità (si veda Cassazione Civile, 17 marzo 2016 n. 5319) ha ritenuto che la voltura catastale conseguente alla presentazione della dichiarazione di successione sia atto implicante accettazione tacita di eredità. Pertanto, in presenza di immobili, se il chiamato, dopo avere registrato presso l’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di successione provvede a chiederne la voltura catastale (con conseguente intestazione dei beni) diventa – definitivamente (semel heres semper heres) erede.
La posizione giurisprudenziale ricordata – con precedenti sul punto e quindi consolidata – non riscuote però grande successo, alla già illustrata luce della “obbligatorietà fiscale” della dichiarazione di successione (da cui, si argomenta, discenderebbe anche quella della voltura). E in materia qualche pronuncia discordante inizia anche ad affacciarsi, fra cui la recentissima ordinanza datata 7 marzo 2017 del Tribunale di Torino. Proseguendo in questo solco si potrebbe argomentare che la nuova sentenza della Cassazione inizi a minare il precedente orientamento, magari inaugurando una nuova stagione.
Il suggerimento conclusivo è di prestare enorme attenzione a tutti i passaggi conseguenti all’apertura di una successione. E proprio in un settore in cui l’esclusività notarile manca (pubblicazione di testamenti, rinunzie, dichiarazioni di successione vedono l’intervento anche di altri operatori, da CAF a cancellieri) se ne coglie l’inesauribile necessità ai fini della sicurezza dei traffici e dell’economia giuridica dell’ordinamento. In un mondo di termini perentori, scadenze, invasività nella riscossione dei debiti (per cui gli eredi rispondono anche illimitatamente) solo una valutazione tempestiva e ad ampio spettro sull’intera posizione può evitare – al cittadino singolo – seri pregiudizi e alla giustizia tutta contenziosi tanto lunghi quanto costosi.
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