La roulette russa è un noto e terribile gioco d’azzardo che deve il proprio aggettivo “topografico” alla prima descrizione contenuta nel racconto – “Il Fatalista” – dello scrittore moscovita Mikhail Lermontov, in cui si sfida la sorte puntandosi una rivoltella alla tempia dopo avere fatto scorrere casualmente il tamburo munito di un solo proiettile e premendo infine il grilletto.
La contrattualistica societaria italiana ha di recente conosciuto una meno macabra versione di roulette russa; il termine è infatti nel settore utilizzato per identificare un particolare tipo di clausola statutaria o contenuta in accordi parasociali.
In particolare, identifica uno strumento in forza del quale – al verificarsi di determinati eventi “bloccanti” l’attività sociale – uno dei (generalmente due) soci (altrettanto generalmente paritari) ha la facoltà di presentare all’altro un’offerta avente ad oggetto l’acquisizione dell’intera partecipazione sociale detenuta dal destinatario. Quest’ultimo – a sua volta – potrà alternativamente accettare la proposta ovvero rendersi lui acquirente dei diritti di controparte alle medesime condizioni.
E’ evidente la finalità risolutiva dei conflitti dell’istitutivo, che vuole favorire – in maniera equa – il superamento di tutte quelle ipotesi di contenzioso che – soprattutto in presenza di partecipazioni paritarie o assenza di una maggioranza definita e assoluta – possono paralizzare una società con le conseguenti devastanti ricadute in termini singolarmente reddituali e generalmente occupazionali.
A fronte di una prima facie manifesta utilità della “russian roulette clause” la giurisprudenza non aveva però ancora fornito un riscontro effettivo: la risposta è infine giunta lo scorso giugno ad opera del Tribunale di Roma – sezione Imprese – che ne ha riconosciuto la cittadinanza all’interno del nostro ordinamento, affrontando proprio un caso concreto in cui una SPA partecipata pariteticamente da due soci era soggetta ad un accordo parasociale in forza del quale al verificarsi di una situazione di stallo (inattività dell’organo amministrativo o dell’assemblea concernente rispettivamente, atti di gestione ordinaria e approvazione del bilancio o dei provvedimenti ex art. 2447, c.c.), era riconosciuto ad uno dei due soci il diritto di determinare il prezzo della propria partecipazione azionaria (senza necessità di indicare i criteri di valutazione per la sua concreta determinazione), invitando l’altro socio o ad acquistarne la partecipazione posseduta – ovvero – alternativamente e a sua scelta – a cedergli la propria . Era altresì previsto che il patto avesse durata quinquennale e che il caso di mancato rinnovo alla scadenza costituisse esso stesso situazione di stallo tale da legittimare l’attivazione della clausola.
L’Autorità Giudiziaria capitolina, in particolare, evidenzia nella sua decisione due elementi degni di particolare attenzione.
In primo luogo, come anticipato sopra, riconosce come l’istituto sia meritevole di accoglimento e riconoscimento in quanto persegue una finalità “proba”, e cioè quella di evitare fenomeni di “stallo imprenditoriale”; in breve, dietro la russian roulette clause non c’è un fatalista ma un intero tessuto economico che non può più permettersi di stare fermo. Il meccanismo – se accolto ab origine o successivamente concordato – aiuta a definire le ipotesi in cui uno dei soci voglia liquidare l’altro ovvero uscire dalla società. Per essere pratici, la crisi della Melegatti, che pare sia nata da conflitti tra le famiglie che controllavano l’azienda con nessuno disponibile a fare un passo indietro, sarebbe potuta essere evitata con l’immediato utilizzo di una russian roulette clause.
In secundis evidenzia l’irrilevanza della circostanza che la determinazione del prezzo di cessione possa essere totalmente arbitraria e scissa dai meccanismi invece presenti e normativamente disciplinati nelle ipotesi di recesso, trascinamento, co-vendita, liquidazione. La possibilità riconosciuta infatti al destinatario dell’offerta di rendersi lui acquirente sterilizza ogni rischio di abusi: chi propone condizioni vili potrebbe subirne – a medesimi parametri – lo spoglio.
Il Tribunale si sofferma incidentalmente anche sul rapporto della clausola con il divieto di patto leonino, escludendone la configurabilità: la prima interviene infatti solo in ipotesi di stallo, mentre il secondo disciplina la gestione corrente della società, operando nel totalmente diverso piano di partecipazioni ad utili e perdite.
In conclusione, il provvedimento dei Giudici romani apre interessanti scenari per le società, riconoscendo la possibilità di utilizzare un nuovo strumento che può sicuramente prevenire conflittualità e paralisi all’attività imprenditoriale, consentendo notevoli risparmi in termini di tempo e denaro (risorse entrambe decisive per i veri imprenditori). Si pensi in particolare alle realtà che vedono soci in condizioni paritetiche, compagini a partecipazione diffusa con diverse prospettive ed altro rischio di litigiosità, imprese di famiglia prossime a passaggi generazionali con il rischio di conflittualità tra gli eredi e conseguenti infiniti strascichi giuridici: in tutti questi casi l’istituto in oggetto può – e ricordo ancora il caso Melegatti – fare la differenza fra fine o prosecuzione dell’attività.
Si può discutere se la “russian roulotte clause” debba essere necessariamente inserita nei patti sociali e o possa anche essere contenuta in un accordo a latere. A prescindere dall’assenza di obblighi normativi circa la forma sicuramente la prima opzione è preferibile, rendendo il patto universalmente noto ed evitando così – ad ogni eventuale passaggio di partecipazioni – un aggiornamento unanime degli accordi anche nei confronti dei nuovi cessionari.
Con una battuta si può dire che l’unico fatalista, ora e alla luce di questa pronuncia, rischia di essere l’imprenditore che – potendo trarne utilità – non corre ad aggiornare in accordo con i soci lo statuto della propria società.
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