La creazione di un conto corrente cointestato – a firma disgiunta ovvero congiunta – consente a più soggetti di accedere all’importo versato e di porre in essere operazioni da titolari.
Oggi aprire un conto corrente cointestato è una prassi consolidata perché tale tipologia di conto risponde alle necessità più svariate e realizza molteplici interessi di chi la sceglie; si pensi – a titolo esemplificativo – ai coniugi, agli uniti civili ovvero ai conviventi, per i quali tale strumento è ritenuto utile ai fini della raccolta e della gestione di proventi a vantaggio familiare, ma anche si consideri chi crea un conto della medesima tipologia per le somme di denaro derivanti da un’attività imprenditoriale collettiva.
La Giurisprudenza si è espressa a più riprese – anche operando delle inversioni di pensiero (c.d. revirement) – sul rapporto esistente tra conto cointestato e donazione. In particolare, generare un conto corrente cointestato può celare donazione c.d. indiretta o si tratta di un’ipotesi di donazione diretta?
L’esatta qualificazione della fattispecie è una questione di non poca né banale rilevanza pratica, oltre che teorica, motivo per cui è bene considerare di volta in volta nel quotidiano le considerazioni che seguono.
Mentre con la donazione c.d. diretta, infatti, una parte (il donante) arricchisce con spirito di liberalità un altro soggetto (il donatario) disponendo – ovvero assumendo – in favore di quest’ultimo rispettivamente un diritto o un’obbligazione, con la donazione c.d. indiretta la liberalità si realizza non direttamente con un contratto di donazione, bensì indirettamente con uno o più negozi differenti (i più svariati). La prima, ancora, necessita – allo scopo di tutelare il donante e di consentirgli di compiere una liberalità con prudenza e a seguito di un’accurata riflessione – di una forma solenne (atto pubblico notarile, a pena di nullità, ai sensi dell’articolo 782 Codice Civile, redatto alla presenza obbligatoria di due testimoni, come emerge dall’articolo 48 legge notarile); per la donazione indiretta, al contrario, questa regola non vale, essendo sufficiente che vengano osservate le forme prescritte dalla legge per il negozio – ovvero i negozi, ove siano più di uno – usati per realizzare lo scopo di liberalità.
La Corte di Cassazione, tenuto conto della differenziazione di cui sopra, torna sul tema proprio lo scorso 28 febbraio 2018, con la sentenza n. 4682.
La fattispecie esaminata e discussa nei tre gradi di giudizio è quella di un conto corrente cointestato – e a firma disgiunta – creato da un terzo in favore di due persone, da cui una di esse abbia prelevato la metà dell’importo totale. L’attore si rivolge al Tribunale di Roma ai fini di accertare la contitolarità della somma depositata in conto, nonché la sua spettanza della metà di quanto è oggetto del conto per donazione indiretta.
Per la Corte suprema, la cointestazione – con firma disgiunta – realizza una donazione indiretta qualora la somma di denaro depositata presso un istituto di credito risulti essere appartenuta – all’atto della cointestazione – ad un solo cointestatario. L’arricchimento dell’altro cointestatario si realizza – per spirito di liberalità, quindi senza corrispettivo, proprio mediante il contratto di deposito bancario, purchè si provi l’animus donandi del proprietario della somma di denaro: si deve accertare che il suo unico scopo al momento della cointestazione del conto era quello di realizzare detta liberalità in favore dell’altro cointestatario.
Così, si ribalta la decisione non solo del Tribunale di Roma, ma anche quella della Corte d’Appello di Roma, le quali – rispettivamente con sentenza del 18 settembre 2009 e con sentenza di rigetto depositata in data 21 aprile 2014 – qualificavano il caso presentato alla loro attenzione quale ipotesi di donazione diretta, con difetto di forma di cui all’articolo 782 Codice Civile. Si realizza, al contrario, donazione indiretta del 50% di quanto depositato in conto.
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