E’ sempre più frequente nella prassi l’intervento di mediatori nelle operazioni di compravendita immobiliari. Se da un lato l’attività di mediazione nella contrattazione immobiliare ha il vantaggio di rassicurare il cliente – futuro acquirente ovvero venditore – dall’altro ha contribuito alla diffusione del c.d. contratto preliminare di preliminare, della cui ammissibilità si è ampiamente discusso in dottrina ed in giurisprudenza.
Capita con sempre più frequenza, infatti, che chi debba alienare o comprare un bene immobile faccia affidamento ai mediatori per i motivi più svariati – si pensi ad esempio all’acquirente che si rivolge a detti professionisti per effettuare verifiche più precise circa la consistenza del bene da acquistare o alla situazione urbanistico-edilizia dell’immobile, ovvero a chi intende meglio indagare sulla affidabilità della controparte – soprattutto per non incorrere in situazioni in cui elementi negativi sopravvenuti porterebbero anche alla risoluzione della compravendita stipulata ovvero resterebbero non conosciuti da una delle due parti contrattuali.
Al fine di garantire – oltre che la trasparenza e la sicurezza della circolazione dei beni – la serenità del cliente che voglia porre in essere un passaggio di proprietà – o di altri diritti – su beni immobili, si ricorre spesso alla conclusione di un preliminare di preliminare (anche preliminare c.d. aperto o più comunemente proposta di compravendita), prima della conclusione del contratto preliminare vero e proprio, nonché del contratto definitivo; tale proposta dovrà essere accettata e sottoscritta anche dalla controparte, e contiene l’impegno delle parti affinchè la proposta addivenga un contratto preliminare.
Il contratto preliminare di preliminare è un negozio giuridico che non trova espressa disciplina nel nostro Codice Civile né nelle nostre legislazioni speciali, a differenza del contratto preliminare di cui agli articoli 1351 e seguenti del Codice Civile.
Con tale fattispecie giuridica, le parti hanno il duplice beneficio di impegnarsi e bloccare l’immobile ancora prima della conclusione del preliminare, ma anche di effettuare le verifiche, gli accertamenti che ritengono opportuni e ottenere le ulteriori informazioni di cui necessitano per poi procedere con il preliminare vero e proprio. Si tratta, in definitiva, di un’anticipazione del contratto preliminare e ciò rileva soprattutto in caso di inadempimento di una parte contrattuale: mentre per il preliminare si applica l’esecuzione in forma specifica di cui all’articolo 2932 Codice Civile, tale rimedio non vale per la proposta in cui le parti trovino un accordo sui punti rilevanti della trattativa, obbligandosi a concordare quanto residua in un momento successivo, per cui in caso di inadempimento è prevista risoluzione del contratto con obbligo di risarcimento dei danni a carico dell’inadempiente; potrebbe trovare applicazione il 2932 Codice Civile, tuttavia, qualora vi sia un accordo sull’intera trattativa già nella proposta e una parte si rifiuti di tradurre la proposta in un contratto bilaterale. Queste ipotesi rientrano nella responsabilità contrattuale, differenziandosi dal caso in cui le parti si servano della proposta solo per puntualizzare lo stato di avanzamento della loro trattativa, non ancora perfezionata: in questo caso, qualora vi sia inadempimento di una delle parti, sussisterà responsabilità precontrattuale.
Sull’ammissibilità del preliminare di preliminare v’è stato un ampio dibattito in dottrina ed in giurisprudenza. Solo nel 6 marzo 2015, però, vi è stato un revirement giurisprudenziale con cui la Corte di Cassazione a Sezioni Unite – con la sentenza n. 4628 – rovescia il precedente orientamento e riconosce validità e dignità al negozio. Tale pronuncia, però, non mette fine alle diatribe circa il preliminare di preliminare, tant’è che anche nello scorso 21 maggio 2018, con sentenza n. 12527, la medesima Corte di Cassazione ritorna sul punto e – in aderanza con quanto affermato nel 2015 – chiarisce quanto esaminato sopra circa la responsabilità in diversi casi di inadempimento e rifiuto ingiustificato di una parte.
Detta sentenza, ancora, chiarisce la sussistenza del diritto dei mediatori di incassare le loro provvigioni già in forza di un contratto preliminare di preliminare, risolvendo in senso affermativo la disputa dottrinale e giurisprudenziale in materia, generata dalla differente interpretazione dell’articolo 1755, primo comma, Codice Civile, secondo cui “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”. Il nesso di causalità tra l’intervento del mediatore e la conclusione dell’affare risulta, pertanto, esistente sin dalla conclusione di una proposta di acquisto accettata dalla controparte, dalla quale si origina proprio il diritto a pretendere e ricevere la provvigione per l’attività svolta (in tal senso anche la risoluzione 63/E del 25 febbraio dell’Agenzia delle Entrate).
Tutto ciò risulta coerente non solo con le teorie della Cassazione che ammetono il negozio del preliminare di preliminare, ma anche con quanto si verifica nella prassi e col concetto di mediazione atipica, secondo cui, ai sensi dell’articolo 1322 Codice Civile, in applicazione dell’autonomia negoziale – principio cardine del nostro ordinamento – le parti ben potrebbero derogare alle normative previste per la mediazione, stabilendo un compenso a titolo di provvigione in favore del mediatore anche indipendentemente dalla conclusione dell’affare.
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