La voce popolare vuole che la vita delle farfalle sia ridotta ad un giorno soltanto. Non è propriamente così ed alcuni fra questi lepidotteri arrivano anche all’anno, battendo così in durata le società sportive dilettantistiche lucrative; ma facciamo un passo indietro.
La legge di bilancio 2018 introduceva (art. I commi 353-361 legge n. 205/2017) la possibilità di svolgere attività sportive dilettantistiche con scopo di lucro attraverso una delle forme societarie di cui al titolo V del libro quinto del Codice Civile (società di persone e di capitali). La disciplina prevedeva da un lato stringenti limiti statutari (denominazione e scopo), di amministrazione (con precisi divieti e requisiti) ma anche vantaggi fiscali quali la riduzione alla metà dell’aliquota IRES (da 24 a 12%) e l’applicazione dell’IVA agevolata al 10% (invece che al 22%) sui servizi sportivi resi negli impianti gestiti dalla società.
Il colpo di scena è però recentissimo, con il decreto Dignità (decreto legge n. 87/2018), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2018, che ha “sic et simpliciter” spazzato via le società sportive dilettantistiche con scopo di lucro.
E ora?
Da un punto di vista giuridico si pone il problema di cosa sarà delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro in questi mesi costituite. Sciolte d’imperio? Trasformate in altra forma? L’unica risposta la può dare il legislatore, si confida in sede di conversione del decreto, ma al momento non rimane che professore prudenza anche nel contesto di eventuali atti che le riguardino seppur la mia (personalissima) posizione è che la disciplina cassata avesse soprattutto un’incidenza fiscale; quest’ultima sicuramente viene a cadere mentre la “forma giuridica” residua.
Ma la vera questione riguarda la riforma organica del settore, dovendo necessariamente coinvolgere anche le Federazioni. E’ ormai evidente come sia improprio – soprattutto a livello di posizioni professionali e trattamenti tributari – tripartire lo sport in attività agonistica-professionista ed attività dilettantistica, con questo ultimo mondo, in particolare, sempre più eterogeneo. La vera riflessione dovrebbe portare ad una più concreta riclassificazione fra professionisti, dilettanti ed amatori, avvicinando i secondi (o parte di essi) e i primi. Un paio di esempi concreti per focalizzare il tema: per un calciatore è ormai più economicamente conveniente giocare in LND che in serie C. Ancora, sempre nel mondo del calcio, la terza serie vede parametri finanziari più stringenti della massima divisione, con continue “morie” di società malate. Il futsal – sport nazionale con più praticanti – non conosce il professionismo: anche i protagonisti della serie A con stipendi da decine di migliaia di euro sono qualificati come dilettanti.
Il decreto dignità pone – per lo sport – sicuramente un tema di non banale coordinamento giuridico ma – nell’ottica positiva che mi anima – va colto come una piena possibilità di riflessione sull’intero settore. L’attenzione per la salute pubblica passa infatti anche da un sistema giuridico capace di disciplinare puntualmente l’attività sportiva al fine di valorizzarla al massimo.
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