Il nuovo RUE a Bologna danneggia affari e ambiente

da | 25 Set 2019 | immobiliare, politica

Ogni due secondi una foresta grande quanto un campo da calcio scompare nel mondo: sembra una statistica lontana ma in verità, e stiamo per vederlo, è più vicina di quanto pensiamo e ogni decisione, anche locale, può influenzarla.

E’ il caso della vicenda che sta agitando il mondo immobiliare bolognese a seguito dell’approvazione di alcune modifiche al locale RUE (regolamento urbanistico edilizio) che hanno provato una vera e propria levata di scudi da parte degli operatori del settore.

Le novità sono varie ma – volendo sintetizzare ai limiti del banale – quelle che stanno facendo più discutere riguardano un aumento degli oneri di urbanizzazione, più stringenti vincoli per i cambi di destinazione d’uso e  soprattutto il divieto di creare monolocali con una sola finesta.

Quest’ultima decisione, in particolare, rischia di mettere in crisi il mercato immobiliare locale, applicandosi a tutte le pratiche presentate a decorrere dall’11 settembre scorso (data funesta), seppur già sia stato ipotizzato un allungamento dei termini che ha scatenato una vera e propria corsa allo sportello.

Tralasciando l’aumento degli oneri (che nasce da una delibera regionale che ha aperto a questa possibilità; certo a Palazzo d’Accursio avrebbero potuto non approfittarne..) il tema veramente centrale è quello di una propria guerra all’attività edilizia. E a dirlo non è tanto il sottoscritto, ma proprio il Sindaco Merola che non ha esitato a proclamare “costruttori, è finita la pacchia“, in uno slancio più da lotta di classe di inizio Novecento che da primo cittadino che deve o dovrebber (anche) gestire una fase economica non banale.

Le motivazioni, ovviamene, sono le più nobili: contrastare il caro-affitto, combattere la corsa all’airbnb selvaggio, preservare (addirittura) la salubrità dei luoghi. E i problemi, non si può negarlo, non mancano, se anche l’Università ha lamentato lo scorso anno 5.000 studenti in meno fuggiti in altri Atenei in quanto a Bologna pare impossibile trovare una stanza a prezzi accettabili in cui vivere. Ancora, non sono pochi i casi di locali storici o spazi adibiti a parcheggio, con conseguente perdita di attività commerciali da un lato e aumento aumento delle autovetture su strada dall’altro. Infine, anche per le giovani coppie ritagliarsi un nido d’amore in centro non di proprietà pare impossibile (e quando riescono vi è il problema asili, ma questo esula dal presento contributo).

In breve, lo sviluppo edilizio di questi ultimi anni con la sua parcellizzazione delle unità immobiliari verso – in gran parte – una destinazione al mercato dell’airbnb è un tema che imponeva una risposta: ma – e qui dobbiamo interrogarci – quella offerta dal Comune di Bologna è giusta?

Personalmente ritengo di no. Non è con la guerra – espressa, vedi dichiarazione di cui sopra – ai costruttori e mettendo limiti al vero volano dell’economia, cioé l’edilizia, che si risolvono certi problemi, che, anzi, rischiano di aumentare.

In una Regione che infatti ormai sbandiera (giustamente!) la campagna di consumo zero del suolo bloccare l’attività immobiliare nel centro storico avrà un’unica immediata conseguenza: l’aumento delle nuove costruzioni nelle zone periferiche o nei Comuni limitrofi. E di questo sicuramente non abbiamo bisogno, pullulando già la nostra Provincia di cattedrali abitative abbandonate.

La soluzione, invece, era ripartire proprio da quest’ultime, sfruttando la “congestione” del centro per dirottare la domanda verso le zone depresse in modo da consentirne una rinascita. Tutto ciò è però possibile soltanto con un attento lavoro fra Istituzioni e sul territorio, che colleghi la predisposizione di interventi di recupero con la presenza di un infrastrutture di collegamento importanti (treni o autobus ogni ora, anche di notte) e la partnership di chi può veicolare l’utenza (si pensi l’Università con i suoi studenti). In questo modo il consumo di suolo sarebbe sostituito dal recupero del suolo e del territorio, con i Comuni più piccoli e ora ormai sfollati che vedrebbero una nuova rinascita, in una vera economia circolare.

Se poi vogliamo volgere lo sguardo un po’ più in là sarebbe opportuno interrogarsi su quale futuro immaginiamo per Bologna, città ormai a vocazione turistica che però si trova nell’invidiabile posizione di potere diventare la periferia vivibile di Milano, unica metropoli europea, per dimensioni e vocazione finaziaria, che l’Italia può vantare.

In tale solco va evidenziato come il mercato immobiliare del capoluogo lombardo cannibalizzi le operazioni nel segmento terziario (uffici) nazionali, con prezzi (e canoni di locazione) sempre più alti. Già oggi le due stazioni distano appena un’ora di Frecciarossa e all’orizzonte si affacciano treni ancora più veloci con distanze ridotte nell’ordine di venti minuti. Con tali tempistiche è doveroso ambire al ruolo di raccolta di tutte quelle realtà (anche importanti) che vogliono ridurre i propri costi offrendo uno scenario anche più vivibile (e comunque effervescente) quale Bologna.

Ovviamente, però, tutto ciò non può essere organizzato in un giorno o sperare che semplicemente accada perché la nostra città “piace”. E’ necessario accettare questa vocazione, prendere atto e indirizzarsi verso una dimensione sempre più terziaria e turistica del centro (perché i monolocali e gli airbnb servono anche ai giovani professionisti in movimento), ripulire alcune aree anche spostando alcuni innegabili aggregatori di potenziale disordine (si veda certi spazi universitari). E questo potendo altresì rivalutare zone depresse, combattere il consumo del suolo, accelerare la transizione verso un’economia che sia veramente circolare e a km zero.

La scelta del Comune rischia di andare contro tutto ciò, di minare la crescita economica, di riportare indietro Bologna, di negarci una dimensione europea, di non rilanciare una Provincia che ha fame di possibilità: qui la pacchia invece che finire per i costruttori rischia di finire per tutti noi.

 

Fabio Cosenza

Notaio

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