Il rapporto tra l’accessione e il regime di comunione legale dei beni è stato analizzato e definito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 4 novembre 2019 n. 28258.
Occorre preliminarmente distinguere tra i modi d’acquisto della proprietà – elencati in modo esemplificativo e non esaustivo e tassativo dall’art. 922 Codice Civile – quelli a titolo originario e quelli a titolo derivativo.
Mentre con questi ultimi un soggetto acquista il diritto di proprietà da un altro soggetto, i modi di acquisto della proprietà a titolo originario consentono all’acquirente di divenire proprietario per la prima volta di un diritto privo di pesi, senza che vi sia una successione nel diritto tra precedente e nuovo proprietario.
Sono modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo le successioni ed i contratti, diversamente dall’occupazione, dall’invenzione, dall’unione, dalla specificazione e dall’accessione, che – al contrario – permettono un acquisto a titolo originario della proprietà.
Ai sensi dell’art. 934 Codice Civile, qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.
La norma racchiude il principio generale dell’accessione secondo cui il proprietario del suolo acquista ipso iure al momento della incorporazione anche la proprietà della costruzione edificata sul medesimo. Ciò avviene senza una necessaria manifestazione di volontà proprio perchè si tratta di un modo d’acquisto della proprietà a titolo originario.
La Corte Suprema ha inteso delineare il rapporto intercorrente tra detto principio dell’accessione e il regime di comunione legale dei beni con riferimento alla fattispecie di seguito illustrata.
In particolare, una signora agiva in giudizio contro il suo ex marito per condannarlo al pagamento di metà di quanto impiegato da lei per costruire – in pendenza del loro matrimonio – un edificio sul terreno in proprietà esclusiva del convenuto.
Gli ex coniugi erano coniugati in regime di comunione legale dei beni.
Nei primi due gradi del giudizio si respingeva la domanda di condanna al pagamento dell’ex marito perchè l’attrice ex moglie non aveva sufficientemente provato il suo apporto economico effettuato per realizzare la costruzione.
La ex moglie, tuttavia, si difendeva sottolineando come non fosse necessaria una tale prova, essendovi automatismo tra il suo diritto di credito nei confronti del marito e l’acquisto dei materiali per la costruzione da lei effettuato, nonché della manodopera.
Ebbene, la ex moglie – soccombente nei primi due gradi di giudizio – proponeva ricorso in Cassazione per violata l’automaticità degli acquisti di quanto necessario per realizzare la costruzione secondo le regole della comunione legale dei beni, ai sensi dell’articolo 177, comma primo, lettera a) Codice Civile. Secondo la ricorrente, infatti, sia i materiali che la manodopera sarebbero caduti immediatamente in comunione legale ai sensi di detta norma, generando in capo alla stessa il diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione.
La Cassazione – a sostegno del rigetto del ricorso – sottolinea come, a differenza dell’accessione, gli acquisti ai sensi di cui all’articolo 177, comma primo, Codice Civile abbiano carattere derivativo, non originario. La costruzione realizzata in costanza di matrimonio da entrambi i coniugi – tra loro coniugati in regime di comunione legale dei beni – sul terreno in proprietà esclusiva di uno soltanto dei coniugi è personale ed esclusiva dell’unico coniuge proprietario anche del terreno. Al coniuge non proprietario spetta – qualora abbia contribuito alla costruzione – il diritto di ripetere le somme spese nei confronti del coniuge proprietario. Il diritto di credito, tuttavia, matura previo assolvimento dell’onere della prova da parte del coniuge non proprietario di aver effettivamente fornito il proprio sostegno economico per la realizzazione della costruzione.
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