Alberghi: rischio malavita, garantiamo la legalità

da | 23 Apr 2020 | politica, societario

Il campanello d’allarme è risuonato il 22 aprile 2020 dalle pagine de “Il Sole 24 Ore”, subito ripreso da più testate: gli alberghi – in particolare quelli della Riviera Romagnola – rischiano di finire nelle mani della malavita interessata a riciclare capitali. La voce che evidenzia il rischio – e ci fa comprendere quanto sia concreto – è decisamente qualificata: il prefetto di Rimini Alessandra Campora che forte di esperienza e sguardo attento sul territorio ha subito intravisto dinamiche inquietanti, che approfittano della terribile situazione di crisi in cui l’epidemia da COVID-19 e le conseguenti restrizioni dei DPCM hanno gettato il settore.

E il pericolo è più che attuale, con richieste che già circolano anche via whatsapp dirette ad albergatori per sapere se sono interessati a cedere l’attività, in termini ai limiti dell’estorsione: una cifra per offerte accettate subito, a ridursi settimanalmente se la risposta tarda ad arrivare, alludendo alla possibilità che altri invece siano lesti ad approfittare dell’occasione.

Voglio essere chiaro: io non sono contro l’attività d’impresa e il libero mercato. Quindi se qualcuno vuole cedere e  altri vogliono comprare (hotel, ristorante, palline da tennis) è giusto vi siano i minimi ostacoli possibili. Tuttavia, non credo come qualche ingenuo (sono brutale) che esista una “mano invisibile” che intervenga a risolvere ogni stortura del mercato e – soprattutto – sono fermamente convinto si debba combattere con fermezza ogni possibile infiltrazione criminale nella nostra economica. Perché se crediamo nel libero mercato dobbiamo credere anche nella concorrenza e dove si insinuano malavita e capitali riciclati non ci può essere concorrenza.

Il quesito diventa banale: cosa fare – hic et nunc – per evitare che la criminalità metta la mano su un settore (quello alberghiero) che vale il 5% (12% con l’indotto) del PIL italiano? Come fermare le mani delle mafie su una ricchezza pari a 90 miliardi di euro?

A questa domanda non posso che dare una risposta da Notaio.

La prima proposta che infatti è stata messa sul tavolo è di rivedere  – in termini più stringenti – il d.lgs. n. 231/2007 che rappresenta il corpus normativa in tema di antiriclaggio. Lo spunto è sicuramente condivisibile ma ritengo da solo non sufficiente; sono necessarie alcune valutazioni ulteriori.

Un fattore, infatti, è determinante e va sempre ricordato: affinché i meccanismi antiriclaggio funzionino, accanto all’attività delle Forze dell’Ordine e dell’Autorità Giudiziaria, è necessario vi sia una concreto sostegno da parte di tutto quel mondo professionale che deve effettivamente segnalare le operazioni sospette.

E se verifichiamo i dati (pubblicati proprio lo scorso 31 marzo 2020 dall’Ufficio di Informazione Finanziaria) scopriamo che in Italia – nel 2019 – ci sono state 105.789 segnalazioni. Di queste 4.630 sono state effettuate da studi notarili, pari al 91,25% delle segnalazioni provenienti dal mondo delle professioni (notai, commercialisti, avvocati, e questo benché in Italia i primi siano circa 5.000, i secondi 120.000 e i terzi 240.000).

Ora, il tema non è applaudire allo spirito di servizio mio e dei miei colleghi (che seppur in numero inferiore segnaliamo di più) ma evidenziare da dove nasce questo fenomeno, sostenerlo e valutare come possa essere migliorato in questa fase a tutela del nostro turismo.

Il notaio è naturalmente portato a maggiori controlli perché soggetto terzo incaricaro (dall’ordinamento) di un controllo di legalità sugli atti che riceve. Ancora, il numero chiuso della professione e redditi dignitosi seppure in drastico calo rispetto al passato (ricordo che il 75% dei notai italiani guadagna non più di 70.000 euro l’anno, cifra non banale ma lontanissima da quello che si immagina) sicuramente aiutano ad essere “imparziali” e a non chiudere uno o più occhi innanzi ad operazioni sospette. Su questo fronte, quindi, basta.. non fare nulla; in particolare mantenere le attuali competenze notarili con l’esclusiva in materia societaria e soprattutto in tema di cessioni d’azienda, che investe direttamente il passaggio di attività come gli hotel.

Fare nulla, tuttavia, non è mai nello spirito delle mie analisi e delle mie proposte. Si può migliorare? O anche solo si può evitare che le cose peggiorino? Certamente, ma si deve operare su più livelli.

In primis è necessario intervenire a sostegno delle professioni tutte, coinvolgendo anche avvocati e comercialisti in questa contrasto al riciclaggio. E in tal senso le (draconiane) sanzioni ora in vigore non sono sufficienti, perché – soprattutto in Italia – i comportamenti virtuosi non si alimentano solo con pene per le loro violazioni ma soprattutto con la prospettiva di vantaggi. Per indurre i professionisti a collaborare, in breve, è necessario ridare loro dignità e – non nascondiamoci – la dignità passa solo tramite redditi congrui. In tal senso, come più volte chiarito, un ritorno ad una tariffa seria ed unica a livello nazionale (oltre, freddamente, un contigentamento del numero) può essere determinante per strappare molti dalle sirene di comportamenti compiacenti.

Gli interventi però devono essere anche direttamente sul mercato del turismo. Per troppi anni si è pensato che l’economia dovesse essere alimentata eliminando ogni barriera d’accesso e permettendo a chiunque – anche senza mezzi e con controlli minimi – di “mettersi in gioco”. Questo meccanismo, tipico di alcuni sistemi (tipicamente quelli anglosassoni), non può però essere adottato in un mondo, come – spiace dirlo – il nostro, ove però latitano rigidi controlli successivi. E’ giusto, condivisibile ed innegabile che vi sia libero mercato e libera concorrenza, ma la mancanza di filtri all’ingresso consente l’inserimento di chiunque con effetti distorsivi per tutti. Come si suol dire, una sola goccia d’inchiostro può rovinare un’intera botte di buon vino.

Ma chi sono – si domanderà – questi chiunque che condizionano i meccanismi competitivi e il regolare funzionamenti del mercato alberghiero? Abbiamo in verità due categorie di soggetti, ricollegabili al medesimo strumento giuridico.

I primi sono coloro i quali si improvvisano senza mezzi, con società sottocapitalizzate, convinti che fare l’albergatore possa essere frutto di un tuffo estemporaneo. Partono con poche risorse, in breve collezionano debiti,  a breve l’unico orizzonte che hanno è il fallimento. Se – loro – sono fortunati rivendono a quelli della categoria che segue, se . noi – siamo sfortunati non pagano, tasse, fornitori e dipendenti e lasciano (dove avere lanciato offertissime a pochi euro rovinando il mercato per portare a casa gli ultimi spiccioli) le passività ai contribuenti tutti.

I secondi sono i criminali o – rectius – i loro prestanome. Costituiscono società ad hoc ad un euro (perché non hanno tempo da perdere e spese da sostenere, in quanto formalmente nullatenenti), comprano in contanti, non hanno alcun interesse nel rendimento economico della loro iniziativa ma sono solo interessati a potere reciclare i proventi delle loro – vere – attività.

Come sopra scrivevo queste due categorie hanno in comune lo strumento giuridico con cui si presentano sul mercato: SRLS, società semplici a responsabilità limitata semplificata, con capitale sociale modestissimo (spesso appena un euro), nessuno statuto ma solo un atto costitutivo. Il tutto con un orizzonte temporale assai breve, se solo pensiamo che nel 2019 abbiamo avuto 48.748 iscrizioni di nuove SRLS a fronte di 6.020 scioglimenti (un tasso di mortalità di oltre il 12%).

E’ dunque inutile nascondersi: fare l’albergatore è una cosa seria destinata a persone oneste e con mezzi congrui, nell’interesse di tutto il sistema economico, perché di turismo – l’abbiamo detto troppe volte ma vogliamo ripeterlo anche in questa fase difficile – l’Italia può vivere. Si rende pertanto necessario prevedere filtri d’accesso, limitando l’attività alberghiera o a società con congruo capitale (di certo non 1 euro) o a compagini in cui i soci rispondano illimitatamente per le obbligazioni sociali, con quindi costi ridotti e maggiori responsabilità.

Come indurre fin da subito questo cambiamento? Ma banalmente prevedendo misure di sostegno (che servono, senza dubbio) solo a chi rispetta i requisiti di cui sopra. Ho già illustrato in un mio precedente articolo come i prestiti che lo Stato ora garantisce hanno il limite di servire a coprire spese correnti e scadenze fiscali e difficilmente serviranno a generare nuova ricchezza (quindi a ripagarsi). Per ripartire gli imprenditori (e fra questi gli albergatori in primis) dovranno anche “mettersi le mani in tasca” e sostenere personalmente percorsi innovativi. E’ pensabile che lo possa fare chi ha una SRLS sottocapitalizzata? Ovviamente no. Diviene quindi anche uno spreco destinare pubbliche garanzie (alla fine: i soldi di tutti noi) a sostegno di chi già in nuce non ha possibilità alcuna di uscire da questa crisi; meglio concentrare gli sforzi solo a favore dei veri albergatori che veramente possono farcela.

Due ultime considerazioni giuridiche meritano infine di essere spese.

All’orizzonte si profila – per tutto il mondo societario – il pericolo delle società on-line, volute dall’Unione Europea. Premesso che laddove questo istituto già esiste o è diventato strumento principe del riciclaggio (Regno Unito, con – come testimoniano interessanti reportage giornalistici – la possibilità di intestare senza controlli società addirittura al noto latitante Matteo Messina Denaro) oppure ha rallentanto ancora di più i tempi burocratici (Iran, con assunzioni per controllare ogni pratica) ora – per noi – si pone il problema di disciplinarlo in modo da non farci travolgere. Il Notariato – come istituzione – è già al lavoro, presentando proposte che permetteranno di coniugare modalità costitutive digitali con il presidio della legalità che ci è proprio; dobbiamo solo evitare che questo diventi l’ennesimo pretesto per sottrarre competenze esclusive che tutelano i cittadini.

Ancora, rimane il tema delle cessioni di quote delle società di capitali, ambito dove – oltre i notai – possono operare anche altri soggetti, intermediari per i depositi nei Registri Imprese. Un ritorno alla normalità non è a brevissimo ipotizzabile e seppure il fenomeno sia (non ovunque nel Paese) contenuto (i commercialisti seri sono impegnati ad occuparsi di altro) il rischio che in luogo di una cessione d’azienda alberghiera si proceda con una cessione di quote di società esistente vanificando quanto sopra detto è presente. La soluzione, in verità, è banale, consistendo nel garantire tempi immediati di iscrizione nel Registro Imprese degli atti di cessione ricevuti dai notai (analogamente a quanto avviene per le registrazioni all’Agenzia delle Entrate ed – in genere – per le formalità in Conservatoria) e domandando maggiori verifiche per quelli presentanti dagli altri intermediari, con un’inevitabile dilatazione dei termini.

Concludo riassumendo, perché per me – con estati fin da bambino a Riccione, un investimento personale nel settore, amici di una vita albergatori – il turismo sta veramente a cuore e ho ritenuto opportuno essere puntuale a rischio di prolungarmi.

Stiamo vivendo un serio pericolo di infiltrazioni criminali in un settore determinante per l’economia italiana. I notai sono da sempre in prima linea con un numero elevatissimo di segnalazioni antiriciclaggio ma questo può non bastare. Per pensare ad un vero contenimento è necessario aiutare tutte le professioni (tutele reddituali: la tariffa) e inserire un filtro – patrimoniale – di accesso al mercato alberghiero. Senza stravolgere le regole attuali lo strumento migliore è ora una focalizzazione del sostegno economico a favore di chi può farcela e ha il capitale per riuscirsi. Nel mentre è opportuno innovare l’ordinamento inserendo – a vantaggio di tutti – lineari meccanismi che potenzino ancora di più il ruolo dei notai come presidio della legalità.

Semplice, no? Ecco, ora basta farlo.

Fabio Cosenza

Notaio

0 commenti