Fino al 30 giugno 2020, vi era la possibilità di effettuare pagamenti in denaro contante per importi non superiori a 3.000 euro.
A partire dal 1° luglio 2020, l’art 18 del Decreto n°124 del 2019 (collegato alla Legge di Bilancio 2020) prevede che la nuova soglia per i pagamenti attraverso l’utilizzo del contante, scenda da 3.000 a 2.000 euro.
È inoltre atteso, sempre dal medesimo articolo, che questa soglia scenderà ulteriormente, fino ad arrivare al valore di 1.000 euro, a partire dal 1° gennaio 2022.
Questa norma contenuta all’interno del Decreto si inserisce, in realtà, in un più ampio quadro di lotta all’evasione fiscale, che il Governo Conte, infatti, ha messo tra le priorità del suo operato, basandosi sia sulla lotta al contante, sia incentivando l’utilizzo di metodi di pagamento rintracciabili. Lo scopo principale è sicuramente quello di far emergere l’economia sommersa nel tentativo di lotta contro l’evasione fiscale, ma anche quello di stimolare la modernizzazione della società. Anche l’emergenza sanitaria ha contribuito ad un aumento dell’utilizzo di metodi di pagamento tracciabili, complici il lockdown e le misure di distanziamento messe in atto dal Governo, che hanno portato ad un maggior utilizzo dei siti di vendita online e delle carte di pagamento.
E’ quindi previsto dalla legge il divieto di trasferimenti di denaro contante o di titoli al portatore in euro o in valuta estera che avvengano tra due soggetti diversi, indifferente che si parli di persone fisiche o di persone giuridiche, quando il valore del trasferimento è superiore o pari a 2.000 euro.
I trasferimenti superiori al limite di 2.000 euro, quali che siano la loro causa o il loro titolo (il divieto sussiste indipendentemente dalla natura lecita o illecita dell’operazione) , sono vietati anche quando sono compiuti in più transazioni. Si intendono in questo caso, diversi pagamenti inferiori alla soglia, che appaiono frazionati in modo artificioso, proprio per tentare di aggirare il limite imposto dalla legge.
Il limite è valido, inoltre, per le donazioni e prestiti tra familiari, in quanto sono considerati scambi tra soggetti differenti.
Sono però considerati leciti quei pagamenti frazionati, quindi più transazioni dal valore inferiore ai 2.000 euro, ma la cui somma supera il limite legale, quando sono la conseguenza di un preventivo accordo negoziale tra le parti (come, ad esempio, il pagamento a rate) o di una pluralità di pagamenti distinti e dilazionati nel tempo con scadenze prefissate (come avviene nel contratto di somministrazione). Questo orientamento lo si può trovare nel Parere del Consiglio di Stato del 12 dicembre 1995, in cui viene specificato dal Consiglio come “In via esemplificativa può osservarsi che non parrebbe in realtà giustificata l’applicazione del predetto limite all’uso di denaro contante o di titoli al portatore (…) nell’ipotesi in cui sia convenuto un pagamento rateizzato o, comunque, dilazionato nel tempo, con previsione di una pluralità di pagamenti per somme comunque inferiori al limite di legge, come avviene generalmente con il contratto di somministrazione…”. Anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sottolineato questo aspetto nelle sue FAQ, dove sottolinea che “nell’ipotesi in cui una pluralità di distinti pagamenti sia connaturata all’operazione stessa (ad es. contratto di somministrazione) ovvero sia la conseguenza di un preventivo accordo negoziale tra le parti (ad es. pagamento rateale)“. Il Ministero sottolinea comunque, all’interno della sua risposta, come in queste ipotesi l’Amministrazione si riservi ugualmente di valutare, caso per caso, la sussistenza di tutti gli elementi necessari per verificare che non si tratti di tentativi di frazionamento “artificioso” realizzati con lo scopo di aggirare la legge.
Non viene ugualmente preso in considerazione questo limite nei casi di prelievi dai propri conti correnti; versamenti e prelievi non sono infatti considerati come un trasferimento tra soggetti diversi.
Vengono considerati leciti i pagamenti in contanti frazionati, come lo possono esser ad esempio le cure dentistiche, quindi nei casi in cui il frazionamento sia previsto da accordi contrattuali o da prassi commerciale.
In caso di transazioni che superino la soglia dei 2.000 euro, queste devono essere effettuate attraverso le modalità di pagamento che ne assicurino la tracciabilità, come bancomat o carte di debito, carte di credito, carte prepagate, assegni bancari e circolari e bonifici.
Anche le sanzioni per chi non rispetta il limite imposto dalla legge hanno subito un inasprimento. Si parla infatti di sanzioni amministrative dall’importo piuttosto elevato. Le multe vanno da un minimo di 2.000 euro ad un massimo di 50.000 euro per il superamento della soglia fino a 250.000 euro. Vanno invece da un minimo di 15.000 euro ad un massimo di 250.000 euro per i pagamenti in contanti sopra i 250.000 euro. Se l’importo è inferiorie a 30.000 euro, l’entità della sanzione minima è pari al 10 per cento dell’importo trasferito in violazione della norma.
È necessario sottolineare che si trovano coinvolti nella violazione entrambi i contraenti, quindi sia il soggetto che effettua il pagamento, sia chi lo riceve.
Per quanto riguarda i professionisti che sono obbligati alla segnalazione, la sanzione va dai 3.000 euro ai 15.000 euro in entrambi i casi.
Premesso il quadro normativo generale, è opportuna – e non mi sottraggo – una valutazione sul merito della scelta e sull’efficacia dell’iniziativa.
L’obbiettivo dichiarato – e sopra riportato – è la lotta all’evasione e la modernizzazione del Paese. Sembra, in particolare, che il pagamento in contante rappresenti un ostacolo allo sviluppo, un passato da cui affrancarsi per entrambe in un mondo di pagamenti digitali, criptovalute e benessere diffuso.
Premesso che si tratta di una storia già sentita (ad esempio il famoso sistema Law della Francia di inizio Settecento), non abbiamo tuttavia evidenze scientifiche che la riduzione dell’uso del contante colpisca effettivamente l’evasione fiscale.
E, ancora, i primi giudizi tecnici sull’iniziativa, si veda ad esempio BCE e Banca d’Italia (quest’ultima già nel 2019) sono – ad essere cortesi – assai tiepidi.
Francoforte, in particolare, evidenzia quello che è un rischio sociale, ora acuito ancora di più dall’epidemia in corso e dagli effetti che la stessa sta avendo sulla popolazione: la marginalizzazione degli strati più poveri, meno alfabetizzati, tecnologicamente ai margini (giovani, disoccupati, anziani).
Palazzo Koch, invece, si mostra più favorevole ma chiarisce come la singola iniziativa non sia di per sé decisiva nella lotta contro l’evasione. E’ pur vero, aggiungo, che l’Esecutivo ha ora messo in campo altri strumenti (le classiche detrazioni) per professionisti e piccoli imprenditori che utilizzeranno il POS, ma ciò – insisto – non è sufficiente a fronte di costi per commissioni bancarie ancora elevati.
Allora è forse opportuno un confronto con quanto accade in Europa e i con i numeri dei nostri partner continentali.
Parlando – banalmente – di quanti POS ci sono in Italia, scopriamo così che ne abbiamo 5.200 ogni 100.000 abitanti, ben sopra la media europea (2.800). Le commissioni in genere sono elevate ma in media (1,1% contro 1,2% più basse in Francia e Spagna con 0,7% e 0,6%) mentre dove siamo ultimi è il numero di operazioni pro-capite (111).
Questo dato va però incrociato con un altro elemento, a mio parere decisivo per comprendere l’intero quadro: l’ammontare medio di ogni transazione, che nel Bel Paese è di 59 euro mentre in Europa si attesta a 42 euro.
Cosa ci dice questa statistica? Che ad essere esclusi dai pagamenti digitali sono i piccoli acquisti, gli importi modesti, mentre per le spese maggiori non si lesina lo strumento. E – sì, avete capito – chi è che si limita a piccoli pagamenti? Ma in genere proprio le fasce più deboli della popolazione, quelli più poveri, che possono ancora permettersi un caffé (ormai sempre più una tantum) ma di certi non fare grandi acquisti in boutique di lusso.
Ma – e ora torniamo al tema iniziale – il problema italiano sono le piccole evasioni da pochi euro o le grandi elesioni tributarie da miliardi di euro grazie a paradisi fiscali e partner europei compiacenti (in primis l’Olanda del “frugale” Rutte)?
Ecco quindi che tutta questa attenzione normativa è totalmente sproporzionata ed inutile e se la finalità è la lotta all’evasione ben altri dovrebbero essere gli obbiettivi. Non solo: ben altri dovrebbero anche essere gli strumenti. Come più volte ripetuto nel mondo delle professioni sarebbe sufficiente reintrodurre – per tutti – tariffe vincolanti i cui eventuali scostamenti oltre che illecito disciplinare costituirebbero ex se prova di evasione fiscale. Una misura semplice, immediata, capace in un attimo di permettere allo Stato di recuperare importi decisivi per sostenere casse integrazioni e contributi alle imprese in difficoltà in modo da salvare il Paese.
Ma ancora una volta si procede con scelte normative che rischiano solo di accentuare le distanze sociali. Il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha detto che ci aspetta un autunno caldo. Sopra citavo il sistema di John Law della Francia di inizio Settecento. Non so chi abbia avuto il piacere di approfondire il tema, ma mi permetto un riassunto di poche battute svelando il finale. Il sistema – avallato dal reggente duca d’Orleans – mira a sostituire la moneta metallica (antica!) con cartamoneta (moderna! Vi dice qualcosa?). Finisce con un fallimento che travolge tutti e segna definitivamente le finanze del Regno Francia, che mai si riprenderanno, dovendo, dopo un travaglio di decenni, alla fine Luigi XVI convocare gli Stati Generali per trovare una soluzione. La soluzione sarà il sibilo della ghigliottina in Place de la Concorde.
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