La risposta ad interpello n. 44/2021 dell’Agenzia delle Entrate pare aprire alla possibilità di utilizzare il credito d’imposta prima casa in eccesso anche in dichiarazione dei redditi. Prima però di entrare nel merito del tema è opportuno un breve riepilogo.
Come noto il credito d’imposta matura a favore di chi, avendo comprato un’abitazione usufruendo delle agevolazioni prima casa, la rivende ed entro mesi dodici ne acquista un’altra godendo del medesimo regime fiscale.
In particolare, il credito – si è sempre illustrato – è pari al minor importo fra quanto pagato in sede di primo acquisto e quando dovuto per la seconda compravendita. In breve, e facendo un esempio concreto, se Tizio compra una prima casa pagando euro 1.500,00 di registro, la rivende ed entro un anno ne acquista un’altra dovendo versare euro 2.000,00 di registro, il limite del credito è dato da euro 1.500,00 (e pertanto – in pratica – Tizio liquiderà al Notaio quale sostituto d’imposta solo euro 500,00.
Ma cosa accade nell’ipotesi contraria e cioè se quanto versato nella prima occasione è maggiore di quanto dovuto per il nuovo acquisto?
La ricostruzione maggioritaria – se non unanime – ha sempre precisato come l’eccedenza.. fosse perduta, e non recuperabile. In breve, se nel 2019 Tizio paga euro 1.500,00 e per il riacquisto deve pagare solo euro 1.000,00, lo stesso Tizio non verserà nulla ma perderà la differenza di euro 500,00.
Ecco però che in questo scenario si è inserita la risposta ad interpello n. 44/2021 che, richiamando la circolare 24 aprile 2015, n. 17 (par. 4.9), chiarisce come “nel caso in cui il credito di imposta sia stato utilizzato solo parzialmente per il pagamento dell’imposta di registro dovuta per l’atto in cui il credito stesso è maturato, l’importo residuo potrà essere utilizzato dal contribuente in diminuzione dalle imposte sui redditi delle persone fisiche ovvero in compensazione delle somme dovute ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.
Evidenzio come l’interpello avesse in realtà ad oggetto un tema diverso, e cioé la possibilità di godere del credito d’imposta eccedente in occasione di un successivo acquisto, circostanza negata. Ma ciò che rileva, tuttavia, è quanto sopra, un vero e proprio “obiter dictum” che apre scenari fiscali fino ad oggi quanto meno discussi, per non dire negati.
A livello pratico in sede di atto notarile non cambia nulla, non potendo certo l’acquirente godere in quella sede del credito in eccesso; tutto passa nelle mani quindi dei fiscalisti di fiducia, che in sede di dichiarazione dei redditi potranno verificare quanto originariamente versato, sottrarre l’importo dovuto in sede di nuovo acquisto e poi utilizzare il residuo.
ottima notizia. Speriamo che il mio CAF non abbia da obiettare in sede di 730.
Grazie della informazione puntuale. Chiedo dottore una precisazione sulla valorizzazione del credito d’imposta. Io mi troverò a breve a vendere un immobile acquistato nel 1985 e pagato in lire. La valorizzazione attuale del credito d’imposta ovviamente sarà in euro. L’importo pagato nel 1985 verrà rivalutato o sarà semplicemente convertito ?
Grazie dell’attenzione
Solo convertito, nessuna rivalutazione.