Da anni dottrina e giurisprudenza tentano di spiegare con esattezza cos’è la cubatura o volumetria di un edificio, cercando di rappresentarla in termini giuridici, di definirne i caratteri essenziali e di qualificare i relativi atti di trasferimento. L’ultimo tentativo è stato messo in atto dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza del 9 giugno n. 16080, ha affermato un importante principio di diritto in tema di cessione di cubatura. Sarà riuscita nell’arduo compito?
Il caos è stato originato dalla legge n. 1150/1942 che ha introdotto nella nostra legislazione il concetto di standard edilizio, volto alla determinazione di indici inderogabili di densità edilizia quale espressione del rapporto planovolumetrico tra la superficie utilizzabile per la costruzione di un edificio e la volumetria occupabile da quest’ultimo, senza però definire in modo uniforme e puntuale proprio gli atti aventi ad oggetto la cessione della stessa volumetria.
Compito, questo, toccato agli interpreti del diritto, i quali se da un lato hanno contribuito ad agevolare le contrattazioni tra i privati, dall’altro non hanno di certo chiarito la portata della fattispecie in esame. Cosa che sembra essere riuscita alla Cassazione.
Anzitutto è bene chiarire che con la cessione di cubatura, il proprietario di un’area edificabile trasferisce, conservando la proprietà del suolo, al proprietario di un’altra area – avente una conformazione urbanistica omogenea alla prima e compresa nella stessa zona del PRG – tutta o parte della cubatura utilizzabile per edificare sul proprio fondo affinchè il cessionario possa realizzare una volumetria maggiore.
Operazione, questa, consentita poiché è indifferente che le potenzialità edificatorie di una zona del piano regolatore siano sfruttate da un unico soggetto o da più titolari di diversi terreni, sempre ovviamente nel rispetto e tenuto conto dei limiti contenuti nella pianificazione urbanistica di ogni Comune.
Con la prassi, poi, sono stati individuati 3 requisiti che il contratto di cessione di cubatura deve necessariamente rispettare:
– deve essere concluso tra proprietari diversi di fondi che si trovano nella stessa area urbanisticamente omogenea;
– non deve essere in contrasto con specifiche previsioni;
– non deve incorrere nella censura dell’amministrazione comunale;
– non è necessario, invece, che i fondi siano contigui.
In tale contesto si inserisce la pronuncia della Cassazione del 9 giugno n. 16080, la quale ha chiarito e precisato che gli atti avente ad oggetto la cessione di cubatura sono:
– immediatamente traslativi di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale;
– non richiedono la forma scritta per la loro validità;
– sono trascrivibili nei pubblici registri ex art. 2643 cc n. 2 bis;
– a livello fiscale sono assoggettabili ad imposta proporzionale di registro come atto diverso avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al d. P.R. n. 131 del 1986 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ai sensi degli artt. 4 Tariffa allegata al d.lgs n. 347 del 1990 e 10, comma 2 del medesimo d. lgs.
La Suprema Corte è dunque riuscita a colmare le lacune in tema di cessione di cubatura? Sicuramente con la sentenza in esame sono stati fatti passi da gigante verso la chiarificazione e la definizione di una fattispecie poco chiara e spesso dai contorni mutevoli, ma è ancora presto per affermare che tutti i dubbi sono stati chiariti e le lacune colmate. Non rimane che aspettare.
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