Di recente è stato sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione – che, si anticipa, ha risolto con l’ordinanza n. 20062/2021 – il tema della divisione della comunione ordinaria sorta tra due conviventi more uxorio, a seguito dell’acquisto da parte di entrambi di un immobile.
Nel caso di specie, una coppia di conviventi more uxorio (dunque non coniugati) aveva acquistato un immobile mediante l’accensione di un mutuo.
Una volta conclusasi la convivenza, uno dei conviventi chiede gli venga riconosciuto il proprio diritto ad avere un conguaglio in denaro maggiore del 50%, in quanto lo stesso aveva contributo con un maggiore apporto all’acquisto dell’immobile pagando un numero maggiore di rate del mutuo.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Milano riconoscono il maggior apporto fornito da un solo componente della coppia, ritenendo però che questo sia avvenuto a titolo di liberalità (non più ripetibile), liberalità che i giudici ritengono sufficientemente giustificata nella situazione della convivenza.
Il ricorrente impugna dunque la sentenza facendo ricorso in Cassazione e lamentando come la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere che il maggior esborso fosse avvenuto a titolo di liberalità e quindi a titolo di donazione.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20062 del 14 luglio 2021 ha stabilito che, se un immobile viene acquistato da due conviventi more uxorio:
– è si necessario valutare chi nella coppia ha sostenuto il maggiore esborso;
– ma la presenza di una convivenza non è sufficiente a dimostrare lo spirito di liberalità (animus donandi).
L’animus donandi, secondo la Cassazione, va provato in maniera chiara ed evidente. Infatti, la Corte sostiene che “la Corte d’appello, però, non ha considerato che l’animus donandi deve essere provato. Si può ammettere che la prova possa essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso (Cass. n. 9379/2020). In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità. In conseguenza di tale sbrigativo approccio ha finito per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell’acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo”.
Quindi i giudici di legittimità ritengono che la Corte d’Appello di Milano abbia errato nel ritenere presuntivamente provato l’animus donandi. Infatti, sebbene la prova possa essere fornita anche mediante l’ausilio di presunzioni, queste ultime devono rivestire il carattere della serietà, non essendo possibile presumere solamente dalla presenza di una convivenza sempre e comunque uno spirito di liberalità.
La Corte di Cassazione cassava dunque la sentenza rinviando la trattazione della controversia ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, affinché la stessa accertasse nel caso di convivenza more uxorio:
– l’esistenza di uno spirito di liberalità per giustificare la ripartizione paritaria delle quote ai sensi dell’art. 1298 cc, il quale prevede che “nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi. Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente);
– o la mancanza di tale spirito e la prova di un superiore apporto nell’acquisto dell’immobile tale da giustificare un conguaglio maggiore a favore di uno dei conviventi.
Articolo interessante ed esposizione chiara. Complimenti.
Grazie per l’apprezzamento!