BENI IMMOBILI E PRESUNZIONE DI CULTURALITA’

da | 18 Mag 2022 | immobiliare | 0 commenti

L’Italia, è noto, possiede il più ampio patrimonio culturale al mondo: statistiche più o meno affidabili parlano di oltre 4.000 musei, 6.000 aree archeologiche, 85.000 chiese soggette a tutela e 40.000 dimore storiche censite. E proprio in tema di dimore può – ovviamente – accadere che queste siano oggetto di compravendite immobiliare. E, insisto, essendo storiche, è possibile che siano di proprietà di enti senza scopo di lucro. Ma proprio qui si deve focalizzare la nostra attenzione perchè il tema – beni immobili di proprietà di enti senza scopo di lucro – è assolutamente delicato.

E’ fondamentale premettere, infatti, che il nostro ordinamento – proprio alla luce di quanto sopra – prevede un’organica e puntuale disciplina generale per i cosiddetti beni culturali, che sono disciplinati dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali).

Ma quali sono, esattamente, i beni culturali? L’art. 10, co. 1,  in particolare, precisa che sono beni culturali le cose (immobili e mobili) appartenenti ai medesimi soggetti pubblici (allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico) nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: si parla, cioè, dei beni per i quali sia intervenuta la verifica dell’interesse culturale.

In particolare, in base al comma 4 dell’art. 10, possono essere riconosciuti quali beni culturali:

a) cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;

b) cose di interesse numismatico che, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio;

c) manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, nonché libri, stampe e incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio;

d) carte geografiche e spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio;

e) fotografie, con relativi negativi e matrici, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio;

f) ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico;

g) pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;

h)  siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;

i)  navi e galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico;

j) architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.

Il trasferimento dei beni sottoposti al vincolo della culturalità è disciplinato dall’articolo 59 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il quale prevede che «gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero».

Come poco sopra anticipato, l’art. 12 del d.lgs. 42/2004 delinea una presunzione di culturalità dei beni appartenenti a soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro o ad enti ecclesiastici riconosciuti, ad opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risale ad oltre 70 anni.

Da notare che vi sono due condizioni: 

  • autore non più vivente;
  • realizzazione oltre settant’anni (termine introdotto dall’art. 4, comma 16, del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito dalla legge n. 106 del 2011, in sostituzione del precedente termine di 50 anni).

Questi beni sono dunque sottoposti alle disposizioni di tutela e per esse vige la presunzione di interesse culturale fino a quando non sia stata effettuata la verifica da parte del Ministero per i beni e le attività culturali. In breve – e per tornare a focalizzarci al tema iniziale, cioé quello del settore immobiliare – se un immobile è stato realizzato da più di 70 anni ed è di proprietà di un ente senza scopo di lucro, si presuppone sia culturale e quindi soggetto a una particolare disciplina. In particolare, il relativo atto di compravendita sarà sottoposto alla condizione sospensiva del mancato esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato.

Ma quindi in automatico tutti i beni che hanno più di 70 anni e realizzati da autore non più vivente sono culturali? Ed è altrettanto automatico per gli immobili di proprietà di enti senza scopo di lucro? In realtà questa presunzione può essere superata, tramite la verifica dell’interesse culturale, che viene effettuata d’ufficio o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono, da parte dei competenti organi del Ministero.

Parallelamente, in base all’art. 10, co. 5 – come modificato dall’art. 1, co. 175, lett. a), n. 2), della stessa L. 124/2017 – gli stessi beni, qualora siano opera di autore vivente e la cui esecuzione risalga a meno di 70 anni, non sono soggette alle disposizioni di tutela (e, dunque, non possono essere sottoposte a verifica dell’interesse culturale).

Qualora la procedura di verifica si dovesse concludere con esito negativo, i beni saranno esclusi dall’applicazione delle disposizioni del suddetto vincolo automatico preventivo dei beni culturali. In tali casi sono liberamente alienabili. 

In caso di verifica di sussistenza con esito positivo che accerta l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, questa costituisce dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’articolo 13 del Codice ed i beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni della parte del Codice dei beni culturali.

In conclusione, ogni qual volta si tra trattando – o si vuole comprare – un immobile di proprietà di ente senza scopo di lucro (Comune, Regione, associazione, fondazione, etc..) è necessario informarsi innanzitutto sul periodo di realizzazione, e se questo è superiore ai settantanni accertarsi che vi sia stato il procedimento di verifica dell’interesse culturale con esito negativo.

Rachele Nuti

dott.ssa - collaboratrice Studio

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