Le agevolazioni prima casa, come noto, consentono un trattamento tributario di favore (IVA al 4% o imposta di registro al 2%, a seconda se l’acquisto avvenga da impresa o da persona fisica) quando si compra un immobile abitativo. Sono necessari alcuni requisiti per accedere a tale regime fiscale fra cui – qui si vuole segnalare – l’impossidenza, neppure a titolo di usufrutto, uso o abitazione o in comunione con il coniuge, nello stesso Comune e a livello nazionale, di altro immobile acquistato con le medesime agevolazioni nonché l’impossidenza di altro immobile acquistato con le agevolazioni prima casa (oppure l’impegno a cederlo entro mesi dodici).
Ci possono essere però casi in cui il requisito dell’impossidenza si cali in situazioni particolari: ad esempio quando l’immobile precedentemente acquistato con le agevolazioni prima casa da entrambi i coniugi viene assegnato a uno solo dei due in sede di separazione o divorzio.
La fattispecie è già stata oggetto di un precedente contributo, ove si affrontava l’ipotesi in cui l’assegnazione fosse avvenuta da meno di cinque anni dall’acquisto, con conseguente rischio di decadenza in assenza di successivo riacquisto di abitazione principale entro mesi dodici; la Cassazione aveva escluso questa ricostruzione con una pronuncia favorevole al contribuente.
Ora tuttava la Suprema Corte affronta un’ulteriore variante dello scenario in trattazione e stabilisce, con l’ordinanza n. 27088 del 14 settembre 2022, che non può più richiedere le agevolazioni prima casa colui che risulti già proprietario di un altro immobile ad uso abitativo acquisito con il medesimo beneficio, anche qualora ne abbia perduto la disponibilità effettiva a seguito dell’assegnazione al coniuge in sede di separazione personale o divorzio.
Tale conclusione della Cassazione, probabilmente già accordata in altra sede (si fa particolare riferimento alla sentenza n. 14673/2016), è giustificata dal fatto che:
“il requisito della mancanza di titolarità su tutto il territorio nazionale del diritto di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà di un’altra casa acquistata col medesimo beneficio, di cui all’art. 1, nota II bis, lett. c, della parte I della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, non può essere inteso, atteso il chiaro tenore letterale della disposizione, come mancanza di disponibilità effettiva di essa, sicché non sussiste ove l’immobile di proprietà del contribuente sia stato assegnato, in sede di separazione o divorzio, al coniuge separato o all’ex coniuge, in quanto affidatario di prole minorenne“.
In poche e semplici parole, il requisito della titolarità dell’immobile acquistato con agevolazioni non viene meno sol in virtù della mancanza di detenzione e materiale disponibilità del bene in questione: il proprietario non affidatario rimane comunque titolare dell’immobile acquistato.
Proseguendo la disamina, la Cassazione sostiene che, a seguito della separazione dei coniugi, la precedente ed eventuale contitolarità in comunione legale dei beni può essere legittimamente equiparata ad una contitolarità indivisa, astrattamente compatibile con le agevolazioni prima casa, ma – continua –
“la facoltà di usare il bene comune non consente di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comproprietari, per cui la titolarità della quota è simile a quella di un immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative”.
In conclusione, in una logica comunque lineare e a cui non ci si può che allineare brutta notizia per i contribuenti separati o divorziati non assegnatari della prima casa: il beneficio fiscale spetta solo, in ipotesi di riacquisto, se il precedente immobile viene totalmente ceduto.
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