Le imposte da pagare quando si compra un immobile dipendono da vari fattori e variano in base alla qualità del venditore, privato o impresa, e alla presenza o meno dei cd. benefici “prima casa”. Nei contributi precedenti, molte volte, ci siamo occupati degli acquisti effettuati con l’esistenza di quest’ultimi, oggi, invece, cercheremo di spiegare come si calcola la base imponibile nei negozi traslativi di diritti reali immobiliari, tra cui le compravendite, anche al fine di una maggior trasparenza dei nostri preventivi e del nostro operato.
Prima di addentrarci nell’argomento, però, è doverosa una premessa: calcolare correttamente la base imponibile di un atto notarile è di fondamentale importanza poiché dal suo valore dipende l’imposta di registro, costituente nella maggior parte dei casi, specie nelle compravendite immobiliari, la parte più considerevole di ogni preventivo. Questa, infatti, come molte altre imposte indirette connesse agli atti notarili, è una imposta proporzionale, che colpisce in maniera variabile ma costante il presupposto d’imposta – rappresentato dall’intervenuto acquisto da parte dell’acquirente – al variare di un valore di riferimento, quale la base imponibile.
Ciò detto, fino al 31 dicembre 2005 l’imposta di registro era calcolata sul prezzo di vendita inserito in atto così che era prassi diffusa tentare di risparmiare sulla stessa dichiarando in atto un prezzo inferiore rispetto a quello effettivamente corrisposto.
Per contrastare il fenomeno dell’occultamento del prezzo e la bega del riciclaggio, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 1, comma 497, legge n. 266/2005 del 23 dicembre 2005, la disciplina del c.d. prezzo-valore, tuttora pienamente vigente e di grande attualità. L’obiettivo, ancora perseguito, era di determinare in maniera oggettiva ed incontestabile la base imponibile degli atti traslativi a titolo oneroso di diritti reali immobiliari a favore di persone fisiche agenti al di fuori della propria attività imprenditoriale o professionale.
La legge n. 266/2005 ha, quindi, introdotto, al ricorre dei soli presupposti stabiliti dalla stessa e di seguito elencati, un criterio oggettivo di determinazione della base imponibile sul quale applicare l’imposta di registro, denominato “prezzo-valore”. Quest’ultimo, pertanto, si calcola moltiplicando la rendita catastale dell’immobile oggetto di vendita e visibile nella visura catastale per un coefficiente predeterminato pari a
– 126 in caso di acquisto come seconda casa o ulteriori;
– 115,5 in caso di acquisto prima casa.
Su questo valore, assunto come base imponibile, si calcola l’imposta di registro che, nel primo caso, ha un’aliquota pari al 9%, nel secondo pari al 2%. Va da sé che, così facendo, l’Agenzia delle Entrate non può procedere ad alcun accertamento, dato che le imposte sono calcolate sul valore catastale del bene e non su quello di compravendita e, al tempo stesso, gli onorari notarili sono ridotti del 30%.
Affinché tale normativa possa essere applicata devono ricorrere congiuntamente i seguenti presupposti:
– l’acquirente sia una persona fisica che non agisce nell’esercizio della sua attività commerciale, artistica o professionale;
– l’oggetto dell’atto sia l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale di godimento di un fabbricato abitativo e/o relative pertinenze;
– l’atto traslativo sia a titolo oneroso;
– l’acquirente indichi nell’atto che intende avvalersi di tale disciplina;
– l’atto sia sottoposto ad imposta proporzionale di registro.
In tutti i casi in cui il prezzo-valore non sia invocabile o in cui comunque non sia espressamente citato, la vendita seguirà le regole tributarie ordinarie con base imponibile rappresentata dal prezzo dichiarato in atto e con libera facoltà di accertamento valore dell’Amministrazione Finanziaria.
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