IMPOSTA DI REGISTRO CLAUSOLA PENALE

da | 30 Dic 2023 | fisco, immobiliare | 0 commenti

La Cassazione con la sentenza n. 30983 del 7 novembre 2023 si è pronunciata, per la prima volta, sulla NON imponibilità, ai fini dell’imposta di registro, della clausola penale, risolvendo – si spera in modo definitivo data la sua funzione nomofilattica – i dissidi tra la giurisprudenza di merito e le interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate.

Ci siamo già occupati del tema illudendoci che l’Agenzia delle Entrate smettesse di chiedere o di recuperare la somma complessiva di euro 245,00 (euro 200,00 di imposta di registro ed euro 45,00 di imposta di bollo) per la presenza della clausola penale negli atti di compravendita, nei contratti preliminari e, addirittura, nei contratti di locazione.

Invero l’Amministrazione Finanziaria, da un lato, non curante del cospicuo numero di pronunce dei giudici di merito e dei giudici tributari circa la natura accessoria della penale, non ritenuta eterogenea rispetto alle obbligazioni nascenti dai contratti, dall’altro, confidando sulla rinuncia del contribuente a difendersi in virtù dei costi di difesa non abbastanza tutelati dalla semplice condanna alle spese, ha continuato ad esigere, fino alla sentenza in commento, il pagamento delle imposte legate alla clausola in questione, tanto da richiedere l’intervento della Suprema Corte .

Tutta la querelle, ricordiamo, gira attorno all’applicabilità del comma 1 o del comma 2 dell’articolo 21 del D.P.R. n. 131/1986 ogni qualvolta si è in presenza di una pattuizione, ex art. 1382 c.c., con cui le parti convengono un’ulteriore determinata prestazione in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale, in modo da rafforzare le possibilità di adempimento, sanzionare il debitore inadempiente o risarcire il danno al creditore.

La giurisprudenza di merito e quella tributaria, in più occasioni, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie in esame l’articolo 21 comma 2 del D.P.R. n. 131/1986, secondo il quale se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa. Di parere opposto l’Agenzia delle Entrate che, nelle sue varie articolazioni territoriali, valuta applicabile l’articolo 21 comma 1 del medesimo D.P.R., in base al quale se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto.

La Cassazione, quindi, con la sentenza n. 30983 depositata in Cancelleria il 7 novembre 2023 ha statuito che la clausola penale non è soggetta ad autonoma tassazione con l’imposta di registro, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nel quale è inserita: la tassazione di quest’ultimo assorbe la rilevanza tributaria della penale tanto che essa si sottrae all’applicazione della norma di cui al primo comma dell’articolo 21 del DPR 131/1986 ma si presta ad essere osservata ai sensi del successivo secondo comma. Difatti, tale clausola, da un lato, ha lo scopo di sostenere l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali principali, non ha una causa propria e distinta, ma possiede una funzione servente, rafforzativa ed intrinseca al contratto cui inerisce, d’altro lato, non può evidentemente sopravvivere in autonomia rispetto al contratto al quale accede.

La sentenza, dunque, rappresenta una netta e chiara presa di posizione della Corte di Cassazione nei confronti della prassi attuata dall’Agenzia delle Entrate che, da una parte, giustifica ed esclude – si spera in modo irreversibile – l’autonoma tassazione della clausola penale, dall’altra, deve spingere ogni contribuente a ricorrere alla giustizia tributaria ed ordinaria per far fronte a qualsiasi pretesa priva di fondamento anche se di modesto importo, come quella in questione.

Ludovica Adriano Battisatella

avv.ssa - collaboratrice Studio

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