USUFRUTTO CONGIUNTIVO CON RECIPROCO ACCRESCIMENTO

da | 9 Giu 2024 | immobiliare | 0 commenti

L’USUFRUTTO, disciplinato agli artt. 978 e ss. c.c., è il diritto reale minore che consente al suo titolare, il c.d. usufruttuario, di godere della cosa altrui (mobile, immobile o universalità di mobili), traendo da essa tutte le utilità che può dare – compresi i frutti (naturali o civili) –, con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica impressa dal proprietario della stessa. 

Le facoltà dell’usufruttuario hanno, dunque, un’estensione che si approssima, pur senza raggiungerla, alla facoltà di godere delle cose spettante al proprietario. Non la raggiunge perché non ha, come invece il proprietario, la facoltà di modificare la destinazione economica del bene: così, ad esempio, se oggetto di usufrutto è un terreno agricolo, l’usufruttuario non potrà utilizzare il medesimo per realizzarvi un parcheggio o un centro commerciale.                                         

Il proprietario, che resta nudo proprietario, conserva la facoltà di disporre della cosa: può, ad esempio, venderla, ma l’acquirente compera un bene che rimane gravato dall’altrui usufrutto, fino all’estinzione dello stesso.

La costituzione di tale diritto può essere:

volontaria, mediante contratto (a titolo oneroso o gratuito) o testamento;

legale, qualora la legge riconosca tale diritto indipendentemente dalla volontà degli interessati (es. l’usufrutto spettante ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui beni dei figli minori ex art. 324 c.c.). 

Altresì, può essere acquistato a titolo originario per usucapione. 

La sua caratteristica peculiare risiede nella temporaneità: l’usufrutto non può durare, se l’usufruttuario è una persona fisica, oltre la vita dello stesso e, se è una persona giuridica (o un ente privo di personalità giuridica), oltre il termine di trent’anni.  La ratio di suddetto limite si comprende con riferimento alla posizione del nudo proprietario, il quale, ove fosse consentita un’indefinita durata degli effetti dell’istituto, si vedrebbe spogliato definitivamente della facoltà di godimento del bene, con conseguente perdita di qualsivoglia utilità pratica della sua proprietà. 

Proprio il requisito della necessaria temporaneità ha posto da tempo la questione circa l’ammissibilità del c.d. usufrutto congiuntivo. Più in particolare, ci si interroga se sia possibile costituire lusufrutto congiuntivo con reciproco diritto di accrescimento, non solo mediante legato – come espressamente previsto dal legislatore all’art. 678 c.c. , ma anche attraverso contratti ad effetti reali, sia a titolo gratuito (es. donazione), sia a titolo oneroso (es. compravendita). 

Innanzitutto, è utile delineare le caratteristiche di questa species di usufrutto collettivo, cercando di individuarne le differenze rispetto alle simili ma differenti figure del co-usufrutto e dell’usufrutto successivo.                                                                

Il mero co-usufrutto consiste nella semplice costituzione dell’usufrutto a favore di due o più persone contemporaneamente. In seguito alla morte di uno dei co-usufruttuari (o ad altre cause di estinzione), la sua quota si estingue e si consolida in capo al nudo proprietario, che diventa, nei limiti di tale quota, pieno proprietario. Pacificamente ammesso, è un fenomeno ricondotto nel quadro generale della comunione, di cui agli artt. 1100 e ss. c.c.                                                                                                                                                    

L’usufrutto successivo, invece, consiste nella costituzione dell’usufrutto a favore di due o più persone – non congiuntamente, ma – successivamente. In altri termini, il diritto di usufrutto è riservato a più soggetti uno dopo l’altro. Alla morte del primo usufruttuario (o in conseguenza di altre cause di estinzione), il suo diritto non si consolida con la nuda proprietà, ma continua a favore dei successivi titolari. Espressamente vietato, se costituto per legato (art. 698 c.c.), e ammesso ma limitatamente ad un solo passaggio, se costituito mediante donazione (art. 795 c.c.), la dottrina e la giurisprudenza prevalente – anche se non mancano voci contrarie – ritengono, in assenza di ogni norma proibitiva, generalmente ammesso l’usufrutto successivo costituito per atto inter vivos a titolo oneroso, o comunque diverso dalla donazione.

Infine, l’usufrutto congiuntivo consiste nella costituzione dell’usufrutto a favore di due o più persone congiuntamente. In una simile ipotesi – come nel co-usufrutto –, vi sono più co-usufruttuari che usano e godono del bene contemporaneamente. Tuttavia – come nell’usufrutto successivo –, in caso di estinzione del diritto per uno dei contitolari per morte (o per altre cause), la sua quota non si estingue consolidandosi con la nuda proprietà, ma, intervenendo la clausola di accrescimento, si trasferisce a vantaggio degli altri co-usufruttuari andando ad accrescere la loro quota. Ciascun co-usufruttuario, cioè, è potenzialmente titolare dell’intero usufrutto, ma attualmente il suo diritto è limitato ad una sola quota del tutto, a causa del concorso degli altri contitolari. Solo con il venir meno dell’ultimo co-usufruttuario, il diritto reale minore si estinguerà consolidandosi con la nuda proprietà.                                                       

Fra le cause di estinzione dell’usufrutto che possono determinare l’accrescimento, la dottrina prevalente annovera, oltre alla morte di un contitolare, anche la scadenza del termine finale al quale è sottoposto il diritto di uno dei beneficiari, e, ove sia beneficiaria una persona giuridica, il decorso del trentennio, l’estinzione o lo scioglimento della stessa. Parimenti, viene in considerazione la prescrizione per non uso ventennale e la rinunzia abdicativa alla quota. 

Tale fattispecie, che rappresenta un’eccezione alla natura personale e alla necessaria temporaneità dell’usufrutto – dal momento che il diritto di accrescimento impedisce la consolidazione di qualsiasi quota dell’usufrutto con la nuda proprietà finché rimane in vita almeno uno dei contitolari originari – è espressamente disciplinata in materia successoria all’art. 678 c.c. (c.d. legato di usufrutto), in base al quale:

Quando a più persone è legato un usufrutto in modo che tra di loro vi sia il diritto di accrescimento, l’accrescimento ha luogo anche quando una di esse viene a mancare dopo conseguito il possesso della cosa su cui cade l’usufrutto. Se non vi è diritto di accrescimento, la porzione del legatario mancante si consolida con la proprietà”.                                     

Partendo dal dato testuale dell’art. 678 c.c., che ammette concettualmente l’istituto, ci si interroga sulla liceità della clausola con cui si dispone il diritto di accrescimento tra i co-usufruttuari contenuta in un atto inter vivos, ossia in un contratto. Tale clausola, elaborata dalla prassi notarile, viene richiesta assai di frequente nella prassi negoziale.                                                 

Oggi sul punto, dopo un’iniziale risposta negativa, la prevalente dottrina e la giurisprudenza di legittimità sono concordi nel ritenere ammissibile la costituzione dell’usufrutto congiuntivo con reciproco diritto di accrescimento tanto per atto mortis causa (legato), quanto per atto inter vivos (contratto ad effetti reali), sia a titolo gratuito che onero. Infatti, secondo la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. II, 17 novembre 2011, n. 24108):

“… anche per contratto può stabilirsi che le quote di usufrutto, inizialmente spettanti ai vari compratori, si accrescano man mano, in seguito alla morte dei loro titolari o ad altre cause di estinzione che li riguardino, alle quote dei contitolari superstiti fino a riunirsi, tutte, in capo al superstite ultimo. Invero, sebbene la figura dell’usufrutto congiuntivo – caratterizzata, appunto, dal diritto di accrescimento tra i contitolari, tale da impedire la consolidazione di qualsiasi quota dell’usufrutto con la nuda proprietà finché rimane in vita almeno uno dei contitolari originari – sia disciplinata in relazione al legato (art. 678 cod. civ.), nulla vieta (in tal senso dovendosi ritenere superato il remoto precedente contrario di questa Corte: Sez. 1, 5 maggio 1937, n. 1411) – dato che la figura non contrasta con il carattere essenziale, e di ordine pubblico, della temporaneità dell’usufrutto – che anche l’atto inter vivos a titolo oneroso possa costituire la fonte del diritto di accrescimento tra co-usufruttuari, ossia del permanere del diritto di usufrutto sull’intera cosa fino al limite massimo della morte dell’ultimo usufruttuario e, entro questi limiti, della possibilità che il diritto in questione resti fermo, senza la corrispondente espansione della proprietà, pur quando nei confronti di uno o più titolari siano divenute operanti le cause di estinzione previste dalla legge”

Tuttavia, qualora l’usufrutto congiuntivo trovi la sua fonte in un contratto, il diritto di reciproco accrescimento deve essere espressamente pattuito nel contratto costitutivo dell’usufrutto, non essendo sufficiente il solo fatto che l’usufrutto sia acquisito da più persone. Qui la tecnica redazionale deve essere particolarmente attenta, perché, siccome l’accrescimento rappresenta una deroga rispetto al nomale meccanismo di funzionamento dell’usufrutto, occorre specificarlo in maniera non equivoca.                                                                                                  

Infatti, la stessa Corte continua affermando che

“… perchè si abbia usufrutto congiuntivo occorre che dall’atto costitutivo risulti, anche implicitamente, ma in maniera inequivoca, la volontà concorde delle parti di prevedere il diritto di accrescimento tra co-usufruttuari”.

Infatti, il problema della liceità di una simile clausola negli atti inter vivos si pone dalla prospettiva del nudo proprietario, al quale verrebbe impedita la consolidazione a suo favore della quota di usufrutto dell’usufruttuario venuto meno, che, invece, va ad accrescersi a favore degli altri usufruttuari superstiti. L’obiezione si risolve immediatamente ragionando sul consenso espresso al momento della stipulazione dell’atto costitutivo: se infatti la clausola di accrescimento è oggetto di una pattuizione espressa, inserita nel contratto, ed il nudo proprietario l’accetta, non esiste alcun impedimento giuridico ad una simile configurazione dei diritti delle parti.                                                               

Ne deriva che, se il contratto non contiene una specifica clausola dalla quale risulti in maniera inequivoca tale diritto, si sarà in presenza non di usufrutto congiuntivo, ma di mero co-usufrutto.

Detto ciò, ci si potrebbe chiedere se possa sussistere la reciprocità dell’accrescimento solo se venisse pattuita contestualmente alla costituzione dell’usufrutto – con atto inter vivos che disponga sia la sua costituzione che la clausola di accrescimento –, oppure se sia possibile pattuire detta clausola anche in un successivo momento rispetto al sorgere dell’usufrutto.  Sembra preferibile ritenere che il patto di reciproco diritto di accrescimento possa sempre essere stipulato, anche successivamente alla costituzione del diritto di usufrutto, in quanto non c’è nessuna norma cogente che si frappone all’autonomia privata, ma, affinché detto negozio – che deve avere la forma della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico (ai fini della pubblicità dell’atto) – abbia efficacia, è necessario coinvolgere anche il nudo proprietario, il quale deve accettare lo stesso, in quanto pregiudica il suo diritto ad acquisire la piena proprietà del bene, che avverrà, in virtù dell’accrescimento, solo col venir meno dell’ultimo co-usufruttuario.                                                                                                                         La forma della scrittura privata autenticata o dell’atto pubblico occorrerà (se oggetto sono beni immobili) ai fini della trascrizione dell’atto nei pubblici registri immobiliari, considerato che i terzi hanno interesse a conoscere la modificazione della durata dell’usufrutto.                      

L’usufrutto congiuntivo certamente non potrà durare più della vita umana (anche se quella del più longevo dei contitolari), ma i terzi hanno interesse a sapere se l’usufrutto si consoliderà con la nuda proprietà solo al venir meno dell’ultimo usufruttuario (usufrutto congiuntivo), ovvero se l’estinzione del diritto di uno dei co-usufruttuari determinerà l’acquisto pro quota della piena proprietà (mero co-usufrutto), poiché ciò influisce sul valore del bene e quindi sul corrispettivo da pattuirsi nei contratti stipulati con il nudo proprietario. 

Dal punto di vista fiscale, per consolidato orientamento del giudice tributario, si ritiene che nell’ipotesi di usufrutto congiuntivo con reciproco diritto di accrescimento (sia per legato che per contratto) nessuna imposta sia dovuta al verificarsi dell’accrescimento nei confronti dell’usufruttuario superstite, poiché quest’ultimo non viene a godere del diritto in conseguenza del trasferimento mortis causa bensì in virtù dell’atto stipulato in origine.

Leonardo Sciscio

tirocinante UNIBO

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