TERRE GRAVATE DA USO CIVICO

da | 26 Giu 2024 | immobiliare | 0 commenti

La sentenza della Corte Costituzionale n. 119 del 2023 offre un’importante occasione per esaminare il regime circolatorio delle c.d. terre d’uso civico, ed in particolare per analizzare il differente regime circolatorio delle terre private (o pubbliche) gravate da diritto d’uso civico in senso stretto e dei c.d. demani civici. 

Innanzitutto, entro la categoria onnicomprensiva delle terre d’uso civico in senso lato (o beni gravati da diritti civici), bisogna distinguere le terre gravate da diritto d’uso civico in senso stretto, da una parte, e demani civici (o domini collettivi o proprietà collettive), dall’altra. 

Per diritti civici (o usi civici in senso lato) si intendono tutti quei diritti caratterizzati da aspetti privatistici e pubblicistici che vengono a fondersi. Primo tra tutti gli elementi pubblicistici è proprio quello della spettanza del diritto ad una specifica collettività (i c.d. cives) di un determinato Comune, alla quale spetta l’esercizio del diritto, non uti singuli, bensì uti cives.  Le terre gravate da diritti civici in senso lato sono definite, all’3, comma 1, L. n. 116 del 2017, “beni collettivi”. 

I diritti d’uso civico in senso stretto (o usi civici in senso proprio) sono particolari diritti reali di godimento su cosa altrui, spettanti alla collettività su terre private, oppure anche su terre demaniali o del patrimonio indisponibile. Da un punto di vista funzionale, l’uso civico garantisce alla popolazione cui esso appartiene di svolgere talune attività su un dato fondo (es. attività di pascolo, caccia, pesca, estrazione mineraria, semina, raccolta di legna, funghi o altre risorse naturali), al fine di trarne utilità. Tali diritti, dunque, possono gravare tanto su terre private (anche dette allodiali) che su terre pubbliche, come affermato a più riprese dalla Suprema Corte e dalla Consulta – da ultimo con Cass. Civ., Sez. Uni., n. 12570 del 2023 e con Corte Cost. n. 119 del 2023. 

Le terre gravate da diritto d’uso civico in senso stretto sono indicate all’art. 3, comma 1, lettera d), L. n. 168 del 2017: terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati”. 

Le proprietà collettive, invece, sono veri e propri diritti dominicali della collettività su determinate terre, che determinano l’appartenenza delle stesse direttamente in capo alla popolazione proprietaria. In questo caso, i cives hanno la piena proprietà del fondo e non un mero diritto di godimento su di esso, come invece nel caso degli usi civici in senso stretto. Argomento molto discusso è se i domini collettivi siano sempre terre pubbliche in quanto della collettività, oppure no. Da oltre un quarantennio dottrina e giurisprudenza ritengono che la proprietà collettiva è una proprietà privata e pubblica assieme, come in modo chiaro si è espresso lo stesso giudice di legittimità (Cass. Civ., n. 3665 del 2011), secondo cui essa, sostanzialmente, costituisce un tertium genus, perché trattasi di beni di appartenenza privata, ma assoggettati ad un regime di proprietà pubblica. La disciplina dei domini collettivi, infatti, è privata, quanto ai soggetti, ed è pubblica, quanto agli oggetti: l’inalienabilità, l’indivisibilità e l’inusucapibilità sono i caratteri propri di questi beni.                                                                             

Le proprietà collettive sono elencate all’art. 3, comma 1, lettere a), b), c), e), f), L. n. 168 del 2017, e definite, al comma successivo, come “patrimonio civico o demanio civico”. 

La normativa in tema di usi civici in senso lato è oggi dettata dalla L. n. 168 del 2017, alla quale si accompagna la L. n. 1766 del 1927, che – come chiarito dai giudici delle leggi (Corte Cost. n. 113 del 2018 e Corte Cost. n. 119 del 2023) – deve ritenersi tuttora vigente, dal momento che il legislatore del 2017 non ha operato alcuna abrogazione degli istituti in essa contenuti, non essendoci alcuna traccia di norme abrogative.  

A partire dalla Legge Galasso (L. n. 431 del 1985), ed oggi con l’art. 142 ss., D.Lgs. n. 42 del 2004, proprietà collettive e usi civici hanno assunto una specifica funzione di tutela del paesaggio, come meglio chiarito anche dall’art. 3, commi 6 e 8-quater, L. n. 168 del 2017, secondo cui “[…] Con l’imposizione del vincolo paesaggistico sulle zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l’ordinamento giuridico garantisce l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio. Tale vincolo è mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici. […] I terreni dai quali sono trasferiti i diritti di uso civico ai sensi di quanto disposto dai commi 8-bis e 8-ter sono sdemanializzati e su di essi è mantenuto il vincolo paesaggistico”.

Chiarita la fondamentale differenza, nell’ambito dei beni gravati da diritti civici, tra terre gravate da diritti d’uso civico e terre in dominio collettivo, è ora possibile tracciarne i rispettivi regimi circolatori, alla luce della legislazione vigente e della recente pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 119 del 2023).

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, L. n. 168 del 2017, in quanto in contrasto con gli artt. 3 e 42, comma 2, Cost., nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà di privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati (lettera d). In particolare, l’art. 3, comma 3, assoggetta al medesimo regime di inalienabilità sia le proprietà collettive (che la sentenza qualifica iura in re propria) sia le terre private gravate da diritto d’uso civico (che la sentenza qualifica come iura in re aliena).

La norma in esame, nel suo tenore letterale, viola, innanzitutto, il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., poiché vengono disciplinate in modo eguale situazioni giuridiche differenti. In verità, il legislatore del 2017, all’art. 3, comma 2, qualifica correttamente come “demanio civico” solo le categorie di beni elencate all’art. 3, comma 1, lettera a), b), c), e), f), escludendo espressamente la lettera d) che riguarda i beni privati gravati da uso civico –, ma, in maniera del tutto contraddittoria, sembra assoggettare anche tali terreni privati al regime di inalienabilità assoluta. 

La Corte rileva anche una violazione del regime di proprietà privata di cui all’art. 42, comma 2, Cost.,poiché, per i beni su cui insistono usi civici in re aliena, non sussistono ragioni di tutela della collettività che giustifichino la compressione del diritto di proprietà privata, impedendone la circolazione. In particolare, l’alienazione del fondo gravato non interferisce con la permanenza e l’esercizio del diritto d’uso civico. Tali diritti – presentando i tratti propri della realità, dell’inerenza, dell’immediatezza, dell’assolutezza e dell’opponibilità erga omnes – sono idonei ad essere opposti a chiunque divenga titolare dell’immobile gravato, e dunque risulta irrilevante la circolazione del bene gravato. Per di più, neppure la funzione di presidio ambientale e paesaggistico svolto dagli usi civici può giustificare un’incommerciabilità delle terre gravate, in quanto la proprietà privata gravata da usi civici reca con sé il vincolo paesaggistico, prevenendo modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione (ex art. 146, comma 1, cod. beni culturali).                                                                                      

Dunque, usi civici e vincolo paesaggistico circolano unitamente alla proprietà privata, e perciò la previsione dell’inalienabilità della terre private gravate da diritto d’uso civico non ancora liquidati non presenta alcuna ragionevole connessione logica con la conservazione degli stessi usi civici e (per il loro tramite) con la tutela dell’interesse paesistico-ambientale, dimostrandosi tale inalienabilità totalmente estranea alla tutela di interessi generali e, dunque, tale da determinare un’illegittima compressione della proprietà privata.

In estrema sintesi, si può distinguere tra:                                                                                                                                   – regime circolatorio delle proprietà collettive: inalienabilità;                                                               – regime circolatorio delle terre “private” gravate da diritto d’uso civico: libera circolazione, sebbene la terra resta gravata dal diritto d’uso civico e dal vincolo paesaggistico;                                                                                                                                     – regime circolatorio delle terre “pubbliche” gravate da diritto d’uso civico: seguono il regime circolatorio proprio dei beni in regime demaniale, quindi sono inalienabili ex art. 823 c.c.

regime circolatorio delle proprietà collettive:

inalienabilità

regime circolatorio delle terre “private” gravate da diritto d’uso civico:

libera circolazione, sebbene la terra resta gravata dal diritto d’uso civico e dal vincolo paesaggistico

regime circolatorio delle terre “pubbliche” gravate da diritto d’uso civico:

seguono il regime circolatorio proprio dei beni in regime demaniale, quindi sono inalienabili ex art. 823 c.c.

Leonardo Sciscio

tirocinante UNIBO

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