E’ di alcuni giorni fa la notizia di una nuova truffa che ha colpito il mondo dei cosiddetti “bit-coin”, dall’ammontare di quasi ottanta milioni di euro. In breve, la somma pare essere stata sottratta dalla piattaforma Bifinex, terza al mondo per volume delle transazioni; le indagini sono in corso.
La vicenda necessita di un’introduzione preliminare e induce ad una successiva riflessione.
In primo luogo è opportuno ricordare come i “bit-coin” siano (letteralmente) una moneta elettronica creata nel 2009 (da un ideatore la cui certa identità è ancora discussa) che non ha corso legale e neppure è soggetta ad un ente centrale emittente. Questo secondo elemento, in particolare, favorisce il trasferimento – anche anonimo – delle monete elettroniche, che avviene direttamente tra gli utenti usando il sistema della catena di blocchi (o block-chain). Questo meccanismo sta raccogliendo enorme (eccessivo?) interesse, e già qualcuno propone di estenderlo anche ai trasferimenti immobiliari, rendendo così inutili pubblici registri (e pubblici notai).
Ma proprio l’assenza di un sistema centrale di controllo alimenta i profili di rischio per privati e collettività. I primi, infatti, possono essere oggetto di sottrazioni – come quella citata ad inizio di questo intervento – che finisco, naturalmente, per ricadere sull’intero sistema economico. La mancanza di centralità è, invece, solo pubblica: un recente ed interessante studio del Politecnico di Zurigo e dell’Università ebraica di Gerusalemme ha evidenziato come l’intera rete bit-coin sia in mano – nel complesso – a pochi operatori (privati). E’ sufficiente che uno di costoro sia soggetto a truffe o attacchi per fare crollare l’intero sistema.
Cosa concludere da questi brevi spunti sul tema? Di certo non si propone un atteggiamento luddista di demonizzazione delle nuove tecnologie: i bit-coin (e le catene di blocchi) sono strumenti con cui società e diritto si devono confrontare. Ma già dall’origine pare chiaro che non vi è certezza e sicurezza fuori da meccanismi di controllo che possono anche essere “distribuiti e capillari” ma devono essere dotati di selezione e qualifica pubblica. Lo Stato può abdicare alla presenza di un unico soggetto centrale – incardinato al suo interno – solo se lo sostituisce con singoli operatori sulla cui formazione – e sulla cui quotidiana attività – vigila in maniera rigorosa. E questo sistema pare perfettamente disegnato per il Notariato che già – ad esempio con le reti delle aste notarili – mostra la propria corsa verso un futuro del genere. Spetta a noi, e al legislatore, prendere spunto e affrontare queste nuove sfide regolandole nel solco della nostra tradizione, prima di divenirne vittima, in un mondo in cui rischiamo di essere solo oggetto delle transazioni digitali, e non soggetto, orfani delle tutele che ancora – faticosamente – cerchiamo di difendere.
0 commenti
Trackback/Pingback