Sulle popolari continua l’incertezza

da | 19 Dic 2016 | banche

Definire la corrida è difficile: per alcuni uno sport, per altri una tradizione, per certuni uno spettacolo e forse per i più – ormai – un macabro massacro. A prescindere dai giudizi di merito – che in questa sede non interessano – vi è una figura su cui ci si vuole soffermare: il picador. Costui è un un cavaliere che, montando un cavallo ben bardato, infligge con una lunga lancia una serie di profonde ferite per sfiancare il toro.

Il mondo del diritto italiano ci presenta, in maniera meno cruenta, uno spettacolo simile, in cui la riforma delle banche popolari è il toro e il Consiglio di Stato sembra il picador. Dell’ordinanza del supremo organo della Giustizia Amministrativa abbiamo già parlato, ma un nuovo colpo di picca pare ora straziare il nerbo dello sbandierato (e avventato) intervento del fu Governo Renzi. Lo scorso 15 dicembre – infatti – il Consiglio di Stato è andato oltre contestando lo stesso ricorso alla decretazione d’urgenza, che secondo i Giudici di Palazzo Spada tanto necessaria non era. E’ pur vero – e il punto viene richiamato – che consolidatissima giurisprudenza ritiene superata (e sanata) la mancanza di detto presupposto in caso di successiva conversione (che in questo caso non è mancata, ma vi torniamo a breve) tuttavia la circostanza non risulta decisiva. Alcuni elementi necessitano infatti di valorizzazione al fine di un pieno inquadramento.

In primo luogo, la presenza – e anche su questo punto il Consiglio di Stato interviene in maniera netta – di una delega alla Banca d’Italia, chiamata a riempire “i tanti buchi” della nuova normativa. E questo è sì accaduto, ma con tempistiche dilatate non coerenti con l’urgenza e contenuti – vedi la querelle sul recesso – già oggetto di attenzione giurisdizionale.

In secundis è d’uopo ricordare come il decreto sia stato sì convertito, ma con ampio uso di fiducia, secondo una reiterata condotta dell’Esecutivo; forse si è sanata la situazione iniziale, ma a quale prezzo per i diritti dei soci compressi anche dall’assenza di un limpido confronto parlamentare?

Prima conseguenza di quanto illustrato è il congelamento – fino al 12 gennaio, riunione in camera di consiglio – della scadenza (27 dicembre) dei termini per procedere alla trasformazione. Si blocca così l’iter per Popolare di Sondrio (la cui assemblea straordinaria dei soci convocata sul punto è infatti saltata) e Popolare di Bari. Si resta altresì in attesa della decisione della Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sulla legittimità dell’intera riforma, che però pare ormai avere vita difficile, come il toro di cui all’inizio in attesa del matador. Quali sono pertanto le prospettive più plausibili?

Fare previsioni è sempre azzardato ma sul tema – avendo ripetutamente espresso perplessità su un intervento frettoloso e cieco, ma rischia di essere spocchioso ricordarsi le profezie dallo scontato avveramento – non ci si può esimere. Il Governo Gentiloni, seppur fotocopia del precedente, dovrà mettere mano alla riforma permettendo alle due Popolari residue (Sondrio e Bari) di sfuggire alla morsa della trasformazione. L’utilizzo di un rinvio della scadenza o di un innalzamento dei limiti patrimoniali sarà indifferente, a fronte dell’unica strada da percorrere. L’ormai manifesta compressione del diritto al recesso alimenterà il contenzioso, con richieste di risarcimento che rischiano di gravare gli istituti già divenuti SPA, soprattutto se continueranno le turbolenze nel settore bancario con conseguente deprezzamento delle azioni. Su un piano metodologico, infine, si confida in un netto cambiamento, con l’addio a decretazione d’urgenza in materie così delicate e la riconsegna al parlamento di un ruolo centrale nel processo legislativo. Conseguentemente, non si può che censurare la delega in bianco a Banca d’Italia che nasconde – in verità – la consolidata tendenza a devolvere una vera e propria competenza normativa a soggetti estranei, quali – ad esempio – le Autorità Garanti.

Una valutazione a più ampio respiro deve richiamare la separazione dei poteri che sostiene il nostro ordinamento costituzionale. E’ ormai evidente che accanto a potere legislativo, esecutivo e giudiziario si stiano affacciando chimere ibride, dall’asserita natura tecnica e totale irresponsabilità che intervengono ora come controllori, ora come giudici, ora come suggeritori, ora come normatori. Il meccanismo – gravissimo – svuota luoghi partecipativi ed istituzioni democratiche, lasciando le scelte fondamentali della Repubblica (e la riforma del sistema bancario è fra queste) alla mercé di soggetti non rappresentativi. Solo ribaltando questa prospettiva possiamo mettere in sicurezza il Paese.

Fabio Cosenza

Notaio

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