In un piacevole fim di alcuni anni fa intitolato “La guerra di Charlie Wilson” ed incentrato sul supporto statunitense ai mujaheddin durante il conflitto russo-afghano, una delle scene più divertenti vede il colloquio fra il senatore americano – di cui al titolo – protagonista della pellicola e l’agente Gust Avrakotos, il quale è stato piazzato dalla CIA ad occuparsi – in pratica a tempo perso e senza prospettive – del conflitto che sconvolge Kabul. Ma l’intervento del politico Charlie Wilson cambierà la sua storia (e quella del mondo) recuperandolo dal limbo d’inutilità in cui era finito.
Senza volere scomodare Juri Andropov e Ahmad Shāh Massoūd, il film ci ricorda come – nella grandi storia vicende come in quelle della quotidianità – a volte tutto può riacquistare centralità. Accade anche nel diritto – e soprattutto nel nostro Paese, con un legislatore purtroppo sempre meno organico – e ne è un interessante esempio l’anagrafe condominiale.
Questo registro è stato istituito con l’art. 10 della legge 11 dicembre 2012 n. 220, la quale – come noto – riforma in maniera sensibile il condominio, prevedendo in particolare all’art. 1130 del Codice Civile (n. 6) l’obbligo per l’amministratore di “[…] curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare […]”. La norma – che impone anche un aggiornamento in caso di variazioni, su sollecito dell’amministratore e con comunicazione da parte del proprietario – aveva come finalità quella di permettere un monitoraggio sempre più completo del patrimonio immobiliare italiano, nel solco di altre iniziative similari (ad es. in tema di conformità catastale).
Non si pecca di sincerità se si raccoglie – senza ambizioni statistiche o di esaustività – notizia di un riscontro a macchia di leopardo delle richieste di aggiornamento inviate dagli amministratori; fra menefreghisti, proprietari assenti, persone con difficoltà nel fornire i dati richiesti, non sono pochi i condomini con un’anagrafe lacunosa. In casi del genere il Codice Civile prevede che sia l’amministratore a raccogliere i dati – a spese del soggetto inadempiente – ma spesso così non è accaduto, per una serie di ragioni, dal quieto vivere all’assenza di una sanzioni per l’ipotesi omissiva di cui in oggetto; l’art. 1130 CC n. 6, infatti, è una norma imperfetta, e in un Paese dove neppure il timore della pena – sempre meno certa – dissuade dalla violazione, se questa manca ab origine è arduo confidare in un positivo riscontro.
Tutto però pare destinato a cambiare dal 2017, a causa del Decreto del Ministero delle Finanze in data 1 dicembre 2016 intitolato “Termini e modalita’ per la trasmissione all’Agenzia delle entrate dei dati relativi ai rimborsi delle spese universitarie e dei dati relativi alle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali ai fini della elaborazione della dichiarazione precompilata“. In breve, il Dicastero di via XX settembre prevede che a decorrere dallo scorso periodo d’imposta per potere effettivamente godere delle detrazioni fiscali relative a lavori che hanno interessato le parti comuni del fabbricato, gli amministratori dovranno comunicare all’Agenzia delle Entrate le quote relative a ciascun condomino, unitamente agli esatti dati anagrafici e codice fiscale. Il tutto – si noti – entro il prossimo 28 febbraio.
Il lavoro di aggiornamento e di adeguamento che si prospetta rischia di non essere di modeste dimensioni, anche alla luce dello scarso tempo a disposizione. A fronte – infatti – di rinnovata assenza di riscontri, gli amministratori è plausibile procedano – a spese degli inadempienti – con visure e verifiche catastali. Sul punto – tuttavia – è bene ricordare come il Catasto abbia finalità meramente pubblicitarie e possa non essere aggiornato, ad esempio a causa di successioni non volturate o meri errori tecnici. In questi casi solo più approfondi – e costosi – controlli ipotecari (nei Registri Immobiliari) possono dare un riscontro puntuale ed essere – eventualmente – di spunto per le correzioni catastali necessarie.
Concludendo, l’intera situazione alimenta distinte considerazioni. Il recupero di una norma imperfetta non con la previsione di una sanzione ma di un – lato sensu – incentivo (per detrarre devi comunicare) rappresenta – a modesto parere del sottoscritto – un esempio di normazione virtuosa. Il premio, in luogo della punizione, è la scelta sempre preferibile, nel contesto di una società moderna in cui l’autodeterminazione costituisce un valore da perseguire. La raccolta di dati e di informazioni, invece, ormai capillare e costruita secondo schemi sempre diversi ed invasivi, sicuramente – in questo caso – ha finalità meritevoli (la schedatura – soprattutto per esigenze fiscali – del patrimonio immobiliare italiano) ma rischia di diventare momento di pericolo (e compressione) della posizione del singolo. In una civilità contemporanea in cui le informazioni – più o meno pubbliche – sono la nuova ricchezza, è determinante individuare, disciplinare e qualificare i centri e i soggetti di raccolta dei dati, anche per giungere ad un puntuale sincronismo fra pubblico e privato. Infine, l’obbligo di tenuta di un’anagrafe condominiale testimonia l’ennesimo spostamento dalla Repubblica a soggetti terzi di responsabilità di varia natura rispondenti ad interessi collettivi. Questo percorso – sotto la bandiera imperante del “meno Stato” – è sempre più accentuato, difficilmente invertibile, alimentato anche dai noti problemi di pubblica finanza. Non si è sostenitori di un’astratta condonna del fenomeno, ma si ritiene che lo stesso non possa convivere sic et simpliciter con le regole (rectius: l’assenza di regole) del mercato. Laddove lo Stato deleghi (o imponga) a privati funzioni che hanno – anche lato sensu – la finalità di garantire interessi pubblici o semplifcemente diffusi, è necessario che preveda da un lato rigidi percorsi selettivi di detti soggetti e dall’altro remunerazioni predeterminate. E questo vale per gli amministratori condominiali come per tutti i professionisti, a tutela dei singoli cittadini e dell’intero sistema.
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