Cessioni di quote a rischio con la firma digitale

da | 1 Mag 2017 | societario

Il – dotto e piacevolissimo – romanzo storico “Secretum”, della coppia Francesco Sorti e Rita Monaldi, nella sua narrazione a cavallo tra finzione e divulgazione scientifica, svela l’incredibile scoperta della falsità del testamento vergato di suo pugno dall’ultimo Asburgo di Spagna, Carlo II, la cui sottoscrizione – apocrifa – avrebbe cambiato i destini del Continente trascinandolo nella Guerra di Successione al trono di Madrid apertasi nel 1700 e conclusasi solo quindici lunghi sanguinosi anni dopo. Se ci fosse stato un Notaio..

Nella nostra contemporanea italia il Tribunale di Roma, con una recente pronuncia depositata il 23 gennaio 2017, si occupa di un altro caso di disconoscimento della firma, facendoci capire come passano i secoli, cambia la tecnologia, ma le esigenze di certezza (con garanti in tal senso) ed il rischio di abusi non mutano. La vicenda giunta all’attenzione della magistratura capitolina riguardava – più banalmente – un socio di una SRL che contestava l’avvenuta cessione della propria partecipazione effettuata mediante l’utilizzo del dispositivo di firma digitale. Come noto, infatti, dal 2008 a fronte della modalità codicistica di cui all’art. 2470 comma secondo Codice Civile (atto – cartaceo o digitale – autenticato o ricevuto da Notaio) è stata prevista la possibilità di procedere a cessioni di quote senza l’intervento del pubblico ufficiale ma limitandosi a sottoscrivere l’atto con firma digitale. Fin dall’inizio il Notariato ha sottolineato le criticità di detta procedura (che sminuiva il ruolo del Notaio ad autentico “accertatore d’identità”, dimenticando i profili relativi al controllo della legalità: ma come si può osservare in questa circostanza anche il mero primo profilo pare sia da solo rilevante) tuttavia con scarso successo, alla luce delle successive (e recenti) proposte in materia (dalle SRLS ai modelli standard per le start-up).

La sentenza del Tribunale di Roma è quindi un primo – importante – campanello d’allarme, che richiama l’attenzione sul sempre più diffuso fenomeno di furto (o anche solo abuso) d’identità. Nel caso di specie l’attore contestava di non essere stato lui ad utilizzare il dispositivo di firma. L’Autorità Giudiziaria – ai sensi dell’art. 21 del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82) – “gli rovesciava” l’onere della prova, e lo stesso dimostrava che mentre l’atto veniva sottoscritto con la firma digitale lui si trovava – per dirla alla Manzoni – in tutt’altre faccende affaccendato (in particolare: a casa dell’ex-fidanzata). Ne consegue nullità dell’atto di cessione, di altra delibera connessa e responsabilità dell’effettivo utilizzatore, cioè il soggetto che aveva la materiale disponibilità dello strumento di firma.

La portata di questa decisione sarà ignorata dai fautori di “semplificazioni e liberalizzazioni” ma impone in verità alcune riflessioni che investono tutti i protagonisti della vicenda. In primo luogo il fondamentale messaggio che si può trasmettere ai soci è che – per tutelare le proprie volontà – non vi è altro strumento che l’atto notarile, sola garanzia di certezza. In secundis è bene evidenziare a tutti coloro i quali (fra tutti: i dottori commercialisti) che hanno in materiale disponibilità dispositivi di firma digitale, come il loro utilizzo, anche in buona fede e su indicazione dell’effettivo titolare, li esponga a gravi rischi; l’assenso dato oggi – magari verbalmente e senza formalità perchè “c’è fretta” (ed anche dove risulti documentazione scritta si dubita sulla validità della stessa, considerata la necessità di un utilizzo personale) – può essere facilmente revocato domani, con conseguenze risarcitorie non indifferenti e ricadute d’immagine nonché assicurative. Conviene rischiare – chiedo a soci e amici professionisti – per risparmiare qualche euro? Infine è evidente come la svolta normativa del 2008 – come avvenuto anche per le autovetture – abbia aperto il sistema a seri problemi di certezza ed affidabilità, i cui costi ricadono su tutti i cittadini. La procedura “semplificata” della vicenda in oggetto ha determinato un contenzioso innanzi all’Autorità Giudiziaria sostenuto da ogni contribuente (da io che scrivo, dal lettore, dalla famosa “casalinga di Voghera”, et coetera..) anche se totalmente estraneo all’operazione: il cedente ed il cessionario di quella cessione hanno risparmiato il Notaio, mentre noi tutti abbiamo pagato loro con le nostre tasse Giudice, cancellieri, usciere, personale amministrativo impegnati nel processo. Dobbiamo quindi chiederci quanto ancora il risparmio di pochi e le ambizioni di qualche politico debbano essere a carico dell’intero sistema Paese. Chi ama l’Italia chiede certezze, non semplificazioni.

Fabio Cosenza

Notaio

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