Nel nostro quotidiano si assiste con sempre più frequenza alla fine di rapporti matrimoniali – anche dopo un breve periodo. Benchè attraverso l’istituto del divorzio, il matrimonio contratto perda i propri effetti civili, restano diritti e doveri in capo agli ex coniugi – sia in ambito civilistico quanto successorio – che è bene non dimenticare né sottovalutare. Una tematica particolarmente sentita riguarda l’assegno divorzile e soprattutto il computo del suo ammontare.
E’ ormai noto come l’individuazione di modalità e criteri finalizzati al calcolo dell’assegno divorzile di cui all’articolo 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 (c.d. legge sul divorzio) sia tutt’altro che un’operazione semplice, pacifica ed immediata.
La stessa Corte di Cassazione si è espressa nel tempo a più riprese, da un lato cercando di far fronte alle discipline degli altri Paesi europei, dall’altro prestando attenzione a non perdere di vista l’evoluzione della società e – parallelamente – la diversa e nuova portata degli istituti del matrimonio e del divorzio, nonchè del concetto di coppia.
L’iter giurisprudenziale sul tema si snoda sostanzialmente in tre distinte fasi.
1. Dal 1990 (sentenza a Sezioni Unite n. 11490) la regola generale applicabile era quella del rilascio di un assegno divorzile che tenesse conto del tenore di vita goduto e mantenuto, ovvero fruibile dal richiedente l’assegno durante il matrimonio. In realtà il criterio risultava alquanto astratto – astrattezza temperata sia in funzione della durata del rapporto sia in funzione del rapporto con il riconoscimento e la tutela di convivenze e unione di fatto – ed esclusivamente fondato sulla comparazione delle situazioni economico-patrimoniali degli ex coniugi. Si considerava solo la funzione assistenziale-alimentare dell’assegno, non anche quella riequilibratrice.
2. Nel 2017 con la sentenza n. 11504 del 10 maggio, vi è stato un revirement giurisprudenziale secondo cui criterio ai fini della determinazione dell’ammontare dell’assegno di divorzio doveva essere, al contrario, l’autosufficienza del coniuge economicamente più debole, a cui lo stesso assegno sarebbe spettato. La Corte in tale occasione valorizza l’autoresponsabilità degli ex coniugi; l’esclusivo parametro per il giudizio d’inadeguatezza dei redditi o dell’impossibilità oggettiva di procurarseli è quello dell’indipendenza economica del richiedente. Si tutela esclusivamente quella funzione riequilibratrice e perequativa propria dell’assegno divorzile.
3. Dallo scorso 11 luglio, però, neanche la mera autosufficienza è più applicabile. La recentissima pronuncia a Sezioni Unite (sentenza n. 18287) chiarisce, infatti, come in realtà si debba considerare per il computo dell’assegno un criterio c.d. composito che, in osservanza dei principi costituzionali di solidarietà ed uguaglianza, compari le situazioni economiche degli ex coniugi al fine non solo di raggiungere l’autosufficienza in astratto, ma anche di ottenere in concreto un livello reddituale che consenta agli ex coniugi di recuperare pregiudizi professionali ed economici. Sono da considerarsi, dunque per il calcolo dell’assegno di divorzio, anche il contributo fornito dall’ex coniuge richiedente l’assegno alla formazione del patrimonio comune, nonché personale, in relazione anche alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’ex coniuge avente diritto.
La Cassazione – concludendo – vuole evitare che applicando l’esclusivo criterio della comparazione delle situazioni economiche si rischino arricchimenti ingiustificati, ma al tempo stesso si assicura di tutelare le situazioni nella loro unicità e diversità, non equiparando più tutti i matrimoni e riconoscendo all’assegno divorzile una funzione non solo alimentare-assistenziale, ma anche compensativa e perequativa.
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