Il fondo patrimoniale è stato introdotto per la prima volta dalla riforma del diritto di famiglia nel 1975 ed è disciplinato dagli art. 167 e seguenti del Codice Civile.
L’istituto de quo consiste nella imposizione convenzionale, da parte di uno dei coniugi o di un terzo, di un vincolo in forza del quale determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia.
Quindi, il fondo patrimoniale rappresenta un vincolo di destinazione, posto nell’interesse del nucleo familiare, che ha un duplice scopo:
– il primo è la possibilità di sottrarre, determinati beni appartenenti ai coniugi, all’esecuzione forzata da parte dei creditori, quindi consente, da una parte, di proteggere determinati beni da una gestione non oculata delle vicende patrimoniali coniugali, e dall’altra, di poter accedere con più facilità a linee di credito per il soddisfacimento di esigenze meramente legate alla famiglia;
– il secondo è quello di creare un vincolo di inalienabilità, da stabilirsi convenzionalmente tra i coniugi, al fine di garantire una maggiore fruibilità da parte della famiglia stessa dei beni assoggettati al vincolo.
Ai sensi dell’art. 170 Codice Civile, l’esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore sapeva essere sorti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, questo però non limita il divieto ai soli crediti sorti successivamente alla costituzione del fondo, ne estende l’efficacia anche ai crediti sorti prima, fermo restando che, nel secondo caso, il creditore potrà agire in revocatoria ordinaria, qualora ne ricorressero i presupposti.
È necessario, al fine di una maggiore comprensione dell’istituto in esame, definire l’ambito dei bisogni familiari. La giurisprudenza ne ha ampliato nel corso del tempo la definizione arrivando a ricomprendere “anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuari o caratterizzate da intenti speculativi” (ex multis Cass. Civ. n. 3251/1996).
Da quando è entrato in vigore, il fondo patrimoniale ha avuto una diffusione sempre maggiore, al punto che, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, si è più volte interrogata sul possibile uso illecito del predetto istituto, e sui possibili effetti dannosi che potrebbe riversare sulla massa dei creditori.
Così, con la nota sentenza n. 3641 del 14 febbraio 2018, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che la costituzione del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito e come tale, deve essere soggetto ad azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 Codice Civile.
“la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia non integra di per sé, l’adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatorio per legge, ma configura una atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione a favore dei disponenti.”.
Pertanto, la gratuità dell’atto fa si che, la semplice conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori, da parte dei coniugi, possa sfociare in una dichiarazione di inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.
Va precisato che, il fondo patrimoniale, per essere opponibile ai terzi, deve essere annotato ai sensi dell’art. 162 Codice Civile, nonché trascritto ex art. 2647 Codice Civile nel caso in cui nel vincolo siano ricomprese beni immobili; la trascrizione ha natura di mera pubblicità notizia.
Proprio sull’opponibilità ai terzi si è pronunciata la Cassazione con l’ordinanza n. 12545 del 10 maggio 2019 stabilendo che “In presenza di un atto di costituzione del fondo patrimoniale trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell’atto di matrimonio successivamente all’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo medesimo, l’esistenza del fondo non è opponibile al creditore ipotecario.”
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