Il Notaio istante si rivolge all’Agenzia delle Entrate per avere delucidazioni in merito alla all’imposta di registro applicabile ad un atto di messa in comunione di compendi di pari valore.
In particolare, il quesito è volto ad avere conferma del fatto che sia possibile applicare l’imposta di registro con aliquota pari all’1%, anche alla luce della risposta – fornita dal richiamato precedente interpello n. 526 del 13 dicembre 2019 – che asseriva che “la costituzione della nuova comunione produce effetti analoghi seppur opposti a quelli dell’atto di divisione con conseguente identico trattamento fiscale”.
Il quesito sorge, originariamente, dal desiderio di due coniugi, recatisi presso lo Studio del Notaio istante, di disporre per testamento, ognuno delle proprie sostanze, in modo tale da realizzare un equo trattamento nei confronti dei due figli, per il tempo in cui avranno cessato di vivere.
Il Notaio ha, giustamente, osservato che, non è semplice realizzare tale risultato, poiché, qualora ogni genitore disponesse in favore di un unico figlio di un proprio compendio, come ipotizzato da coniugi, non si è certi del fatto che entrambi gli eredi procederebbero prestando acquiescenza alle disposizioni testamentarie e rinunciando all’azione di riduzione, naturalmente esperibile a fronte di una lesione della propria quota di legittima.
Da tale problematica prospettata, nasce l’idea di procedere ad un atto di messa in comunione in modo tale che, ogni genitore, possa assegnare metà di ogni compendio, senza ledere in alcun modo alcuna quota di legittima, mettendosi, dunque, al riparo da eventuali azioni di reintegra.
La soluzione prospettata dal Notaio, come velatamente anticipato in premessa, prevede l’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, qualificando tale atto come di natura dichiarativa a cui, di conseguenza, si applica l’art. 3 della Tariffa, Parte prima, allegata a TUR.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’atto di messa in comunione, ai sensi dell’art. 1322 c.c., rappresenta l’espressione della autonomia negoziale delle parti a norma del quale “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’orientamento giuridico.”.
L’Agenzia delle Entrate accoglie la soluzione prospettata dall’istante, concordando nel qualificare l’atto di messa in comunione quale atto dichiarativo, riportando, inoltre, a sostegno di tale tesi, la sentenza n. 7606 della Corte di Cassazione del 2018, la quale asserisce che “Nel campo del diritto tributario è stata […] pacificamente accolta la nozione di divisione come atto avente natura dichiarativa, purchè le porzioni concretamente assegnate ai condividenti, sui beni della massa, in ragione dei diritti che essi vantano”.
Tale parere scaturisce dalla concorde analisi, dell’istante e dell’Agenzia delle Entrate, che va ad equiparare gli effetti dell’atto di divisione a quelli dell’atto di messa in comunione, seppur, di fatto, diametralmente opposti.
In conclusione, l’Agenzia delle Entrate conferma di poter assoggettare l’atto costitutivo della comunione al trattamento fiscale previsto per gli atti di natura dichiarativa con applicazione, dunque, dell’imposta di registro nella misura dell’1% ex art. 3 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR.
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