Abbiamo tutti sotto gli occhi in questi di giorni – per noi.. – di ferie le immagini terribili che giungono dall’Afghanistan ove i Talebani hanno senza incontrare resistenza alcuna occupato la capitale Kabul vincendo – sì, vincendo – una guerra iniziata giusto vent’anni fa dopo il crollo delle Torri Gemelle.
Il dibattito è ovviamente vasto, sentito e investe tutti i settori della società.
Emerge in primis il tema umanitario, con centinaia di migliaia di profughi e il timore per la popolazione femminile, costretta ad un ritorno al più oscuro integralismo religioso.
Ovviamente si discute circa le responsabilità, con la Nato in generale e gli USA in particolare (appena un mese fa il Presidente Biden rassicurava circa le capacità di combattimento di un esercito che in realtà si è sciolto come neve al sole) spogliati di ogni credibilità militare e l’Unione Europea perennemente al traino tronfia solo quando si deve censurare il diametro dei cetrioli e totalmente assente in ambito internazionale.
Ma in questa sede – che non può e non vuole essere geopolitica – si vuole, brevemente e anche speculando sul futuro, affrontare l'(ulteriore) ambito economico-giuridico: quali saranno i rapporti commerciali fra il nuovo (nuovo..) Afghanistan e il resto del mondo, Italia soprattutto? Cosa accadrà agli investimenti (fatti o da fare, qui e lì), agli acquisti immobiliari? Quali spazi si aprono e quali inevitabilmente si chiudono?
Per provare a dare una risposta è necessario una piccola premessa generale per i non addetti ai lavori.
La possibilità per un cittadino straniero di “fare affari” (comprare casa; costituire una società; accedere un mutuo; et coetera) nel nostro Paese dipende dalla sussistenza della cosiddetta “condizione di reciprocità”. Con tale termine si intende un istituto di diritto internazionale privato in forza del quale lo straniero può fare in Italia.. ciò che è concesso all’italiano nella di lui nazione. L’italiano può comprare lì casa? Anche lo straniero potrà allora farlo in Italia. L’italiano può lì costituire una società? Anche lo straniero potrà farlo in Italia. E così via, declinandolo in tutte le varie attività in cui può impegnarsi la mente umana.
Questo principio generale va poi meglio declinato con ulteriori corollari. A definire il tutto, infatti, intervengono in genere convenzioni bilaterali fra i vari Stati. Ancora, all’interno dell’Unione Europea non vi sono (più) limitazioni. Infine, ove difettano le convenzioni internazionali è sufficiente che lo straniero abbia un legittimo titolo di soggiorno (per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, per l’esercizio di un’impresa individuale, per motivi di famiglia, per motivi umanitari e per motivi di studio) per essere equiparato al cittadino italiano.
Base di partenza non può quindi che essere l’attuale situazione in essere con l’Afghanistan. Il meccanismo di verifica della condizione di reciprocità è reso (più) agevole dal sito del Ministero degli Esteri, che mette a disposizione sia un elenco dei trattati in essere che una pagina riassuntiva (sulla cui esaustività a volte sorgono dubbi, e con ciò non si vuole minimamente censurare l’ottimo lavoro svolto alla Farnesina; rincorrere le varie modifiche normative – addirittura straniere – è compito da fatica di Sisifo, e questo è solo un invito alla prudenza per chi consultasse la fonte). Evitando un ridondante copia e incolla si può riassumere come, ad oggi, non vi sia reciprocità per gli acquisti immobiliari mentre problemi non sorgono per la costituzione di società (e partecipazione nelle stesse).
L’ambito di riferimento potrà sembrare contenuto ma non è così banale: se guardiamo i numeri – che aiutano sempre – scopriamo che in Italia sono presenti oltre 11.000 cittadini afghani (regolari..) e questi anni da guerra hanno visto la realizzazione di 2.290 progetti (istituzionali: poi vi è l’attività privata) per una spesa di 58 milioni di euro (l’intera missione ha invece comportato un esborso monstre di 8,7 miliardi di euro). Certo, altri attori (USA, Regno Unito, Germania, una silente ma assai operativa Cina) sono stati più attivi sul fronte delle commesse private, ma la nostra innata capacità di ben farci apprezzare sul territorio forse avrebbe aperto altre possibilità (forse: ormai è passato).
Per capire quindi cosa accadrà ora bisogna valutare se le reciprocità di cui sopra – assenza in ambito immobiliare, equiparazione piena sul terreno societario – saranno mantenute, ridotte o addirittura estese.
Una previsione sul punto non può però che intingere nella speculazione geopolitica. E’ ovvio infatti che le prossime mosse saranno del nuovo regime e della reazione della comunità internazionale.
I timori maggiori, ovviamente, saranno sui diritti fondamentali che i Talebani vorranno riconoscere in Afghanistan in primis alle donne (ma non solo: si pensi anche alle minoranze religiose, quali cristiani o zoroastriani). Laddove si ripiombasse totalmente nel fanatismo oscurantista (e sinceramente sarei sorpreso del contrario) l’Occidente di certo non potrebbe più giocare la minaccia dell’intervento militare per provare a mitigare (ricondurre a ragione è impossibile) i provvedimenti più brutali degli studenti usciti armati dalle madrasse. Rimarrebbe così soltanto l’opzione economica, con interruzione dei rapporti, blocco dei beni, limitazioni al commercio internazionale (già il Primo Ministro inglese Boris Johnson invita a non riconoscere il governo in definizione).
Seppure ritenga che questo sia lo scenario più probabile devo anche evidenziare come tema la sua efficacia sarà assolutamente risibile. Nel mondo globalizzato i capitali oscuri viaggiano ormai su blockchain e criptovalute più che su conti correnti. La Cina è già pronta ad investire in Afghanistan e sostenere (legandolo indissolubilmente a sé) il nuovo regime. La principale produzione locale oggetto di esportazione è l’oppio, ovviamente estraneo ai classici canali commerciali.
Anzi, i Talebani potrebbero addirittura beneficiare di un irrigidimento economico. Da un alto avrebbero infatti la possibilità di nazionalizzare – in ritorsione – i modesti ma presenti investimenti stranieri in loco, incamerandoli. Dall’altro sarebbe loro ancora consentito di piangere il sostegno economico delle fondazioni islamiche del Golfo Persico, vero bancomat che ha consentito di continuare (e vincere) la guerra di religione.
Ho fino ad ora parlato di investimenti e società ma il vero fulcro della nostra attenzione è – come tutti sappiamo – un altro: le persone. E qui, pur volendo tentare di rimanere in ambito economico-giuridico, la valutazione non può che farsi dolorosa, dovendo però distinguere vari profili.
Di occidentali in Afghanistan non ce ne sono (praticamente) più. La promessa di Biden (“mai più scene di elicotteri su tetti delle ambasciate come a Saigon”) è stata drammaticamente infranta. Chi rimane non ha un problema di investimenti (fatti o da fare) ma solo di sicurezza personale. Il tema non si porrà per parecchi anni a venire.
Gli afghani già presenti in Italia che hanno comprato casa o costituito società (e ci sono: io stesso ne ho avuto uno come cliente) non devono avere timori. Eventuali modifiche alla condizione di reciprocità non travolgono gli acquisti o investimenti precedenti.
Rimane però il tema più tragico: il futuro di chi arriverà.
Le scene drammatiche dall’aeroporto di Kabul sono di pubblico e ripetuto dominio. Centinaia di migliaia di persone cercano la loro salvezza nel nostro mondo e dobbiamo interrogarci su quali diritti intendiamo offrire loro. Si tratta – in gran parte – di persone giovani, con un’istruzione, una qualifica e forse anche risparmi da investire, molto più vicini ai protagonisti dell’esodo siriano che ai più o meno disperati che attraversano il canale che divide Libia dalla Sicilia. Principalmente si tratta di collaboratori a vario titolo (e famigliari degli stessi) delle forze occidentali nel corso dei quattro lustri di guerra per cui l’esilio è l’unica via di salvezza rispetto ad una giustizia sommaria di cui già giungono agghiaccianti testimonianze.
Si pongono quindi due questioni: una politica, di accoglienza, ed una giuridica, di inquadramento.
Sulla prima di certo non posso spendermi se non – mi sbilancio – evidenziare un obbligo morale: abbiamo voluto noi questa guerra, abbiamo promesso noi un Afghanistan diverso, abbiamo chiesto noi una collaborazione in loco, abbiamo sbagliato noi tutto, perdiamo ogni credibilità residua da fardello dell’uomo bianco se – almeno – non ci facciamo oggi carico di chi ci ha affidato il proprio futuro.
In ambito giuridico è palese che tutti coloro i quali sono costretti a fuggire da Kabul siano da inquadrare come rifugiati. Dunque, quali diritti, quale reciprocità è riconosciuta ad oggi in Italia ai rifugiati?
Sul punto – va citato – è illuminante uno Studio del Consiglio Nazionale del Notariato (n. 8-2020/A, a cura di Daniela Boggiali, intitolato “La reciprocità nell’attività notarile”) che evidenzia come, alla luce dell’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 251/2007, vi sia (cito) “una piena equiparazione ai cittadini italiani dei rifugiati e dei beneficiari di protezione sussidiaria, almeno per ciò che concerne l’accesso all’occupazione, all’assistenza sanitaria e agli alloggi”.
Ancora, si ritiene che (cito nuovamente) “lo straniero beneficiario della protezione internazionale e, quindi, in possesso dello status di rifugiato o del permesso per protezione sussidiaria, sia anche in grado di compiere tutti gli atti giuridici per i quali gli èccordata la paritài condizioni con i cittadini italiani”.
In breve, gli afghani che vorremo ospitare quali rifugiati per quanto riguarda l’attività giuridica (esemplifico: “privata”) avranno i medesimi diritti e le medesime possibilità degli italiani: potranno comprare casa, accendere mutui, avviare imprese, costituire società. Si tratta plausibilmente in gran parte – lo ripeto – di persone istruite, giovani, già entrate in contatto per motivi di lavoro direttamente o indirettamente con il mondo occidentale e quindi pronti ad inserirsi nei nostri tessuti produttivi e sociali.
Rimane, almeno per me, un ultimo conclusivo auspicio. E’ noto l’amaro epitaffio di Churchill sulla conferenza di Monaco secondo cui “Potevano scegliere fra il disonore e la guerra: hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. Per l’Occidente tutto in Afghanistan è accaduto esattamente l’opposto: abbiamo scelto la guerra e abbiamo avuto il disonore. Vi è una sola ultima possibilità di riscattare tutto questo: dare un futuro – in Europa – a chi ha veramente potuto credere ne avremmo costruito uno per loro in Afghanistan.
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