OBBLIGHI AFFITTUARIO D’AZIENDA

da | 22 Set 2021 | societario | 0 commenti

“L’affittuario dell’azienda deve conservarla, in tutte le sue componenti, nello stato in cui viene affittata e, perciò, sostenere tutte le spese necessarie a tale scopo”. Questa la massima stabilita dalla Cassazione con la sentenza n. 19632/2020 in tema di affitto di azienda e che ci ha offerto un valido spunto per fare chiarezza sul tema, partendo proprio dalla definizione dell’azienda per poi passare agli atti di disposizione e di circolazione della stessa.  

La sua definizione è fornita dal codice civile all’articolo 2555 per il quale l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. E’ l’apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento della propria attività (si pensi, ad esempio, ai locali, ai macchinari, alle attrezzature, alle materie prime ed alle merci). Può essere venduta, conferita in società o donata; ancora su di essa possono essere costituiti diritti reali o personali di godimenti a favore di terzi. 

Ed infatti, l’azienda viene presa in considerazione dal legislatore in vista essenzialmente della sua circolazione, vale a dire per le ipotesi in cui l’imprenditore la ceda o la dia in affitto ad altri.

Quest’ultima ipotesi, di certo la più frequente nel mondo imprenditoriale, genera non pochi problemi dato che comporta il riconoscimento in testa ad un soggetto di specifici poteri, che gli permettono di utilizzare i locali, i macchinari, le attrezzature che in realtà sono di proprietà di un altro soggetto. Da questa situazione nasce la particolare attenzione della Suprema Corte, attenta a bilanciare gli interessi in gioco, evitando liti nascenti dagli atti di disposizione del complesso aziendale e al tempo stesso incentivandone la circolazione. 

Prima di esaminare la  pronuncia della Cassazione, è bene ricordare che l’affitto di azienda è il contratto con il quale una parte (locatore o affittante) concede in godimento all’altra (affittuario) un’azienda, per una durata determinata e verso il pagamento di un corrispettivo periodico (canone o fitto), il quale, peraltro, può essere in denaro o in natura, in misura fissa oppure proporzionale alla produttività del bene o agli utili di gestione. Si distingue dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di impresa poiché nel primo caso oggetto del contratto è un complesso di beni organizzati eventualmente comprensivo dell’immobile, nel secondo caso, invece, il contratto ha per oggetto il locale in quanto tale.

E’ dunque evidente che se, da una parte, è necessario consentire all’affittuario una certa libertà operativa fondamentale per gestire proficuamente l’impresa, dall’altra è altrettanto essenziale tutelare l’interesse dell’affittante a che non sia menomata l’efficienza del complesso aziendale che dovrà poi tornare a lui alla fine del rapporto.

Da qui l’intervento della Cassazione che, con la sentenza n. 19632/2020, ha statuito che l’affittuario dell’azienda ha l’obbligo di conservarla, in tutte le sue componenti, nello stato in cui viene affittata e, perciò, di sostenere tutte le spese necessarie a tale scopo. Ne consegue, ai fini della distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, che – a differenza di quanto avviene per il contratto di locazione di beni non produttivi (nel quale il conduttore non fa proprio il reddito derivante dalla cosa) – i lavori di manutenzione ordinaria vanno individuati “in negativo” e, cioè, escludendo quelle opere che sono da reputarsi straordinarie perché non finalizzate alla conservazione della originaria destinazione economica del bene e al ripristino della sua attitudine produttiva, eventualmente adoperando, in via orientativa e in assenza di un criterio discretivo certo, l’elenco esemplificativo delle riparazioni straordinarie di cui all’art. 1005 c.c., norma applicabile anche ad istituti diversi dall’usufrutto.

Ludovica Adriano Battisatella

dott.ssa - collaboratrice Studio

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