Nonostante l’incertezza del momento non si è arrestata la funzione nomofilattica della Suprema Corte, la quale si è dovuta inchinare alle disposizioni che vietano gli assembramenti, ma ha continuato ad assicurare la certezza nell’interpretazione della legge.
Così, in data 27 aprile 2020, è stata pubblicata la sentenza n. 8201 (Cass. Civ. I Sez – 8201-2020) con la quale la Cassazione è tornata sul tema, tanto caro, del fondo patrimoniale, prendendo posizione sul concetto di “bisogni della famiglia” e sulle limitazione dell’esecuzione dei crediti sui beni costituiti in fondo patrimoniale.
Facendo un passo indietro e senza entrare troppo nel dettaglio – ricordiamo, infatti, di aver già trattato dell’istituto in vari contributi e da ultimo in data 11 novembre 2019 – il fondo patrimoniale è un tipo particolare di convenzione attraverso la quale determinati beni possono essere destinati a far fronte ai bisogni della famiglia. Si tratta, dunque, di un patrimonio destinato ad uno scopo specifico, quale il soddisfacimento dei bisogni familiari, e separato poiché i beni facenti parte del fondo patrimoniale sfuggono alla regola generale sancita dall’art. 2740 C.C. per cui il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri.
A tal proposito, per salvaguardare e sottolineare la speciale destinazione dei beni così costituiti, l’art. 170 C.C., disciplinando l’esecuzione forzata sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale, individua tre diverse categorie di debiti:
– i debiti contratti per i bisogni della famiglia;
– i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e sconosciuti come tali dal creditore;
– i debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e conosciuti come tali dal creditore;
e stabilisce che l’esecuzione forzata è consentita SOLO nei confronti dei primi e dei secondi.
A questo punto, per stabilire effettivamente su quali posizioni il creditore può soddisfare o meno le sue pretese, non rimane che chiarire la nozione di “bisogni della famiglia”. Essi rappresentano, secondo costante giurisprudenza, tutte le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della capacità lavorativa familiare. Sono da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, anche considerando le proprie possibilità economiche. Vi rientrano, altresì, i debiti per oneri condominiali e per spese processuali sopportate dal condominio per riscuotere gli oneri condominiali relativi ad un immobile facente parte del fondo patrimoniale.
Al contrario sono escluse dal novero dei “bisogni familiari” le sole esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi. A queste, la Cassazione, con la pronuncia n. 8201 del 27 aprile 2020, ha aggiunto le esigenze familiari indirette statuendo che se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale.
La definizione di “bisogni della famiglia”, quindi, non può essere ampliata al punto tale da comprendere le esigenze familiari indirette, seppur, nel corso degli anni, la giurisprudenza della Suprema Corte ne ha elaborato una nozione tutt’altro che restrittiva e tale da non essere ricondotta ai soli bisogni essenziali.
In definitiva i beni compresi nel fondo patrimoniale possono essere aggrediti solo dai creditori della famiglia: può aversi esecuzione forzata solo per i debiti contratti per le esigenze connesse ai bisogni familiari – secondo la nozione esaminata – e in tal modo conosciute dal creditore; in caso contrario, vige l’inesecutabilità del fondo.
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