La domanda che tutti – ma proprio tutti: clienti, mediatori immobiliari, mediatori creditizi, costruttori – mi stanno ponendo da mesi è solo una: Notaio, ma i tassi d’interesse dei mutui scenderanno?
Il tema, dobbiamo ammetterlo, è assolutamente centrale per la nostra economia e condiziona ormai pesantemente la quotidianità delle famiglie italiane, provate già da una generale impennata dei prezzi dovuta all’inflazione. E inflazione e tassi d’interesse dei mutui, come noto, sono strettamente legati in quanto proprio per combattere (diciamolo: ad oggi con modestissimi risultati) la prima la Bance Centrale Europea (BCE) ha deciso di fare schierare i secondi.
Ora, un paio di premesse prima di continuare sono necessarie.
Ovviamente non ha la sfera di cristallo, altrimenti – seppur amante del mio lavoro – avrei già sfruttato la preveggenza per una dorata perenne vacanza in qualche isola greca (Skiathos su tutte). Tuttavia fra contatti, studio e osservazione (soprattutto osservazione: una continua e generale lettura apre le porte alle connessioni che legano molti fenomeni, anche quelli economici), ho una mia generale idea già strutturata in un report riservato al mondo della consulenza con cui ogni tanto collaboro. Non si tratta – ripeto – di certezze ma di mie valutazioni che voglio condividere, riassunte, anche in questa sede.
La mia analisi, come prassi in lavori del genere, prevede due distinti scenari. Oggi presente la prima ipotesi, quella che gli anglofili definirebbero “best case scenario”: purtroppo c’è anche un “worst case scenario” cui dedicherò un prossimo contributo.
Un dato di partenza deve essere chiaro a tutti: i tassi dello zero virgola di due anni fa difficilmente torneranno. I mutui inferiori all’1% sono stata un’eccezione della nostra più o meno recente storia economica che non si ripeterà, indice senza dubbio di una situazione generale che stava vivendo anche di (pericolosi) eccessi.
Ora però l’aumento dei tassi sta piegando le famiglie e tutti si domandano quando finirà. La domanda porta con sé un altro quesito: tassi così alti sono necessari o si tratta di un’inutile misura draconiana per combattere l’inflazione?
La risposta – unica che conta, perché viene da chi decide – la BCE ha già provveduto a darla per bocca della propria presidente, la francese Christine Lagarde, che proprio recentemente ha annunciato un altro aumento (per luglio) e chiarito che non è previsto un tetto massimo cui fermarsi.
In breve, fino a quando l’inflazione non scende, i tassi si alzano, dei mutui e delle sofferenze delle famiglie poco importa a Bruxelles.
A questo assunto è necessario aggiungere un addendum decisivo: fino a quando l’inflazione non scende in Germania, i tassi si alzano. La preoccupazione della BCE non è infatti una preoccupazione europea, ma fondamentalmente tedesca ove dopo cent’anni le fobie da Repubblica di Weimar (con le carriole piene di un marco superinflazionato per comprare il pane) sono ancora presenti nell’immaginario collettivo. Nel resto del continente, si veda ad esempio la Spagna, l’inflazione è già calata sotto la soglia del 2%, utilizzando strumenti ben diversi – quale ad esempio il gas price cap – dal fin qui aumento dei tassi d’interesse. Tutto ciò però alla BCE non interessa: Christina Lagarde risponde a Berlino, a Berlino l’inflazione non cala, l’unico strumento conosciuto è l’aumento dei tassi d’interesse.
Ma proprio perché la BCE risponde a Berlino, è bene andare a vedere cosa accade in Germania, che da locomotiva d’Europa è ormai diventata il grande malato del continente. Quella che si riteneva un’inarrestabile crescita economica ha dimostrato ormai come i propri elementi fondanti altro non sono che limiti strutturali: dipendenza energetica dalla Russia, deflazione salariale interna, mercantilismo ai danni dei partner commerciali.
La situazione interna tedesca è quindi non rosea, e c’è un dato politico su tutti che la evidenzia: la crescita di Alternative für Deutschland (AFD), formazione di destra che vuole l’uscita dall’UE e dall’Euro e ha un approccio ritenuto negazionista nei confronti dell’Olocausto. I sondaggi, in particolare, vedono il partito con simbolo una freccia rossa che vuole significare cambiamento stabile al 20%, seconda forza politica del Paese. Non solo, pochi giorni vi è stato il primo successo in un’elezione distretturale (analogo di una nostra provincia) e in alcune zone della Turingia un elettore su due non esclude di dare proprio a loro il proprio voto.
E’ evidente che un aumento dei tassi non può che condurre ad una recessione che in Germania è già in corso e che proprio in Germania può colpire per prima e più duramente. E i tedeschi già colpiti da anni di deflazione salariale verso chi riverseranno i propri voti di protesta? Ovviamente a favore di AFD, che già infatti proclama “è solo l’inizio”.
Ma in Germania si è votato – per il rinnovo del Parlamento – nel 2021, il prossimo appuntamento è nel 2025 e magari, qualcuno potrebbe pensare, per allora la ripresa sarà arrivata e il rischio deriva a destra scongiutato. Si dimentica che c’è prima un appuntamento altrettanto importante anche per Berlino: le elezioni europee del 2024. Oggi AFD ha nove rappresentanti a Strasburgo ma ovviamente aspira ad incrementarli in misura esponenziale. Non solo: nel contesto delle trattative per superare l’attuale diarchia popolari – socialisti con un modello che preveda popolari e conservatori il loro contributo può diventare determinante. E come ricordato nel programma elettorale di AFD si cita espressamente la “dissoluzione (ordinata) dell’Unione”.
Ed ecco che qui si torna al rapporto (privilegiato o di sudditanza) fra la BCE e Berlino, con la prima che rischia – se non blocca l’aumento dei tassi – di far tornare la seconda ad anni che non sono certo rassicuranti per il futuro del continente.
Il problema, quindi, si sposta dal tema economico della lotta all’inflazione a quello del vero e proprio confronto politico, ove lo strumento di pressione – seppur non ottimale – è sempre lo stesso: i tassi d’interesse. Più questi aumentano, più nei sondaggi esplode AFD, e proprio per questo motivo Christine Lagarde, dopo il suo prossimo aumento di luglio, dovrà fermarsi se non arretrare.
Altri due motivi, sempre politici, saranno strumentali al cambio di rotta. Da un lato la cessazione delle ostilità in Ucraina, su cui ormai le due potenze globali Cina e Usa stanno convergendo e anche lo Zar Putin si troverà d’accordo, soprattutto dopo il timore del golpe fallito orchestrato dalla Wagner, con il suo positivo contraccolpo per l’economia; dall’altro la situazione francese, con le banlieues in fiamme che si cercherà di placare con ulteriori sussidi e debito pubblico. E per fare debito pubblico occorrono tassi bassi: non sarà comunque la soluzione per la Francia (il denaro non è sufficiente per l’integrazione), ma questa è un’altra storia.
Rispondo quindi infine alla domanda iniziale: quando scenderanno i tassi?
Personalmente ritengo plausibile un calo già a fine 2023, per puntare ad un rimbalzo dell’economia ad inizio 2024 tale da allentare la pressione sociale (soprattutto in Germania) in concomitanza proprio con le elezioni europee.
Rimane un ultimo tema: a Berlino saranno capaci di capirlo?
Notaio
Pienamente d’accordo con la disamine.
Grazie per l’apprezzamento, soprattutto perché da un professionista del settore che ha un’ampia percezione diretta del mercato e delle necessità dei clienti
Stesso e identico pensiero. Grande fabio.
Grazie! Prepariamoci a una seconda metà d’anno rallentata, ma io voglio confidare nel 2024.
Molto interessante e geniale il collegamento alla politica interna tedesca.
Grazie! Alla fine ritengo.. comandi sempre la politica.
Ottima analisi.. da inviare in copia anche alla BCE !!!
Grazie! Potrei.. pensarci
Gent.ssimo Notaio, grazie per le info e il contributo nel fare chiarezza rispetto a quanto stiamo tutti affrontando.
Grazie Mino per l’apprezzamento, prepariamoci per affrontare questa seconda parte dell’anno.
ottimo commento. grazie
Grazie!