La locazione è il contratto mediante il quale una parte (cd. locatore) si obbliga a far godere all’altra (cd. locatario o conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo.
Il contratto di locazione soddisfa, ad un tempo, l’interesse del non proprietario a godere della cosa altrui e l’interesse del proprietario a godere della cosa propria. Il primo, quale conduttore, gode della cosa altrui utilizzandola per l’uso convenuto nel contratto. Il secondo, quale locatore, gode della cosa propria percependo dal conduttore il canone pattuito e, a questo modo, ricavando una rendita dalla cosa.
Il conduttore – non proprietario consegue un diritto personale (e non reale) di godimento sul bene altrui.
Il locatore – proprietario concede ad altri il godimento del proprio bene, o meglio la facoltà di utilizzarlo, ma solo per un dato tempo (art. 1571 c.c.) e solo per un uso determinato (art. 1587 n.1 c.c.). Egli continua, tuttavia, a godere dello stesso: non ne gode, finché dura il contratto, facendone uso; ne gode, invece, percependo quel frutto civile che è il corrispettivo della locazione.
Accanto alla disciplina contenuta nel Codice Civile per tutti i contratti e per la locazione in generale, il legislatore speciale – con L. n. 392 del 1978 (cd. Legge sull’equo canone) – è intervenuto per regolamentare con norme peculiari le locazioni di immobili urbani.
Tra le diverse vicende particolari che possono interessare la locazione di tali beni, di assoluta importanza è quella attinente alla sorte del contratto nel caso in cui muoia il conduttore originario. A tal punto, il legislatore del ’78 prevede la successione di determinati soggetti nel contratto originario stipulato dal conduttore defunto, distinguendo tra locazione di immobili ad uso abitativo (art. 6) e locazione di immobili ad uso diverso dall’abitazione (art. 37).
La successione mortis causa nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore viene ricondotta dalla dottrina all’interno del novero delle cd. successioni anomale legali, così definite in quanto derogano al principio di unità della successione. Si tratta del principio generale, che governa l’intera materia successoria, in forza del quale l’intero patrimonio del de cuius (comprese le posizioni contrattuali), laddove non abbia disposto legati, deve essere destinato a tutti i chiamati all’eredità per testamento o per legge. L’anomalia è soggettiva e consiste nell’attribuzione del diritto successorio a soggetti diversi dagli ordinari successibili ex art. 565 c.c. In sostanza, a subentrare nella posizione contrattuale della parte defunta non sono tutti gli eredi (testamentari o legali) – in virtù del principio generale di prosecuzione del rapporto contrattuale con gli eredi del contraente deceduto, operante per tutte le vicende negoziali che non siano basate su una rilevante identità personale ai fini dell’adempimento (cd. intuitu personae) –, ma solo determinati soggetti espressamente individuati agli artt. 6 e 37 della L. n. 392 del 1978, a prescindere dal fatto che essi siano o meno suoi eredi.
L’art. 6, comma 1, nel disciplinare la successione nel rapporto di locazione di immobile urbano ad uso abitativo in caso di morte del conduttore, dispone che:
“In caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi”
“In caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto coloro che, per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore alla apertura della successione, hanno diritto a continuarne l’attività”
Dunque, il decesso del conduttore non comporta la risoluzione anticipata del contratto, ma al suo posto subentrano altri soggetti, quali il coniuge (o la parte dell’unione civile ex art. 1, comma 20, L. n. 76 del 2016 o il convivente di fatto ex art. 1, comma 44, L. n. 76 del 2016 o il convivente more uxorio in forza di Corte Cost. n. 404 del 1988), gli eredi (testamentari o legali), i parenti e gli affini, purché abitualmente conviventi con il conduttore defunto.
Affinché tali soggetti possano succedere nella locazione ad uso abitativo, tuttavia, non è sufficiente che rientrino in una delle categorie soggettive indicate dalla norma (coniuge, eredi, parenti, affini), ma è necessario che sussista il requisito oggettivo dell’abitualità della convivenza. Essa va accertata dal giudice nel caso concreto e si traduce nella convivenza duratura e stabile nell’abitazione del conduttore, con condivisione quotidiana di spazi comuni. Pertanto, restano fuori dal campo di applicazione della norma i familiari che si siano trasferiti nell’abitazione locata per esigenze meramente transitorie o, addirittura, di semplice ospitalità. Così come non possono essere considerati successori ex art. 6, comma 1 coloro che, pur essendo eredi, non abbiano convissuto con il de cuius – dato che il requisito oggettivo risulta slegato dalla qualità di erede del soggetto, a conferma del carattere anomalo di questa tipologia di successione mortis causa.
La ratio della norma, infatti, è quella di tutelare le esigenze abitative del nucleo familiare convivente con il conduttore, anche dopo la sua morte. Il legislatore, così, si preoccupa di garantire l’affidamento riposto dai familiari nella locazione, evitando loro, dopo il decesso del congiunto, lo stress di cercare un’altra abitazione ed il costo di un trasloco imprevisto.
Come abbiamo visto, i familiari conviventi del conduttore hanno il diritto di continuare a vivere nell’abitazione locata sino alla naturale scadenza del contratto. Tuttavia, in alcuni casi, questa possibilità può risultare poco conveniente, come nel caso in cui il de cuius fosse l’unico familiare a percepire un reddito di lavoro tale da poter sostenere le spese legate all’immobile, tra cui il canone locatizio. In questo caso, ai familiari superstiti non resterà altro che recedere dal contratto.
Una questione molto dibattuta attiene ai rapporti tra l’articolo in esame e la norma di cui all’art. 1614 c.c., dove – diversamente rispetto all’art. 6, comma 1 – nessuna menzione viene fatta al requisito dell’abitualità della convivenza, e gli eredi succedono nel contratto indipendentemente dalla sede della loro abitazione. Più precisamente, l’art. 1614 c.c., afferma che:
“Nel caso di morte dell’inquilino, se la locazione deve ancora durare per più di un anno ed è stata vietata la sublocazione, gli eredi possono recedere dal contratto entro tre mesi dalla morte. Il recesso si deve esercitare mediante disdetta comunicata con preavviso non inferiore a tre mesi”
La questione attiene alla possibilità per gli eredi non conviventi di subentrare nel contratto di locazione iure successionis, nel caso in cui coloro che erano abitualmente conviventi abbiano rinunziato alla facoltà loro attribuita dalla legge, o manchino completamente. Ebbene, a tal proposito, la giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Civ., n. 11328 del 1990) ha affermato che:
“La L. n. 392 del 1978, con l’art. 6 per gli immobili ad uso abitativo (e con l’art. 37 per gli immobili ad uso non abitativo) […], ha compiutamente e direttamente disciplinato la materia della successione nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore, sicché la diversa disciplina dell’art. 1614 c.c., in quanto incompatibile con il disposto dell’art. 6 citato, deve ritenersi abrogata […]”
Ne deriva che, l’erede non convivente non subentra mai nel rapporto locatizio che, invece, si estingue ipso iure al momento della morte dell’inquilino – conduttore defunto. Egli sarà semplicemente tenuto alla restituzione del bene, al pagamento di un’indennità di occupazione per il periodo intercorso tra il decesso e la data di consegna, nonché, eventualmente, al versamento dei canoni dovuti e non pagati dal conduttore defunto. Tuttavia, un condivisibile orientamento dottrinale – rifiutando di ritenere abrogata la norma codicistica, non essendovi né una abrogazione tacita né tantomeno espressa della disposizione – sostiene che non vi sia un’incompatibilità strutturale tra le due disposizioni. Infatti, in mancanza dei soggetti di cui all’art. 6, comma 1, succederanno nel contratto, ex art. 1614, gli eredi non conviventi, che potranno comunque recedere dal contratto a condizioni più agevoli rispetto a quelle normali.
Infine, con riferimento alla posizione del coniuge, i commi 2 e 3 del medesimo articolo sanciscono che, alla morte del coniuge conduttore, il coniuge superstite, nel caso di separazione giudiziale o divorzio, succede nel contratto di locazione solo se il diritto di abitare nella casa familiare gli è stato attribuito dal giudice; mentre, nel caso di separazione consensuale (o separazione di fatto in forza di Corte Cost., n. 404 del 1988) o di nullità del matrimonio, solo se i due abbiano così espressamente convenuto.
L’art. 37, comma 1, invece, regola la differente ipotesi in cui l’evento morte colpisca il conduttore di un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, stabilendo che:
“In caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto coloro che, per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore alla apertura della successione, hanno diritto a continuarne l’attività”
Innanzitutto, la disposizione in esame riguarda le locazioni di immobili urbani destinati ad uno degli usi non abitativi previsti dall’art. 27 della L. n. 392 del 1978, ossia immobili adibiti all’esercizio di attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico, nonché funzionali all’esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.
Anche in questo caso, la morte del conduttore non comporta l’estinzione del rapporto locatizio, ma il subingresso di soggetti espressamente individuati dalla legge. La norma parla di “coloro che, per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore alla apertura della successione, hanno diritto a continuarne l’attività”.
Più nello specifico, legittimati a succedere nella posizione contrattuale del conduttore defunto possono essere coloro che sono stati autorizzati a proseguire l’attività aziendale per atto mortis causa oppure inter vivos. Nel primo caso – in cui il conduttore deceduto è imprenditore individuale –, si tratta di individuare i legatari dell’azienda o gli eredi (testamentari o legali) assegnatari della stessa. Nel secondo caso – in cui il de cuius, titolare della locazione, esercitava un’impresa collettiva, – legittimati saranno gli altri soci superstiti (anche di fatto).
Una questione assai dibattuta in dottrina e giurisprudenza attiene al requisito oggettivo della continuazione dell’attività. Ci si chiede se, ai fini della successione nel contratto originario, l’avente causa debba effettivamente e direttamente (e non per interposta persona) proseguire l’attività precedentemente svolta dal suo dante causa – tesi conservativa –, ovvero se sia sufficiente la mera legittimazione a farlo, ossia la possibilità giuridica di continuare l’attività del de cuius, che si acquisisce subentrando, per vocazione successoria o in forza di un precedente rapporto, nella titolarità dell’azienda da lui precedentemente condotta – tesi innovativa. I giudici di legittimità, soprattutto con rifermento alla posizione dell’erede, hanno, a più riprese (da ultimo con Cass., Sez Civ., n. 24278 del 2017), avvallato la tesi innovativa, condizionando la prosecuzione del rapporto locatizio alla sola titolarità astratta del diritto alla continuazione dell’ attività, senza richiedere anche il fatto materiale della prosecuzione della stessa. La Suprema Corte – dimostrandosi poco sensibile alle osservazioni della dottrina e attenta solo a non tradire il dato letterale della norma – richiede solo il requisito soggettivo della legittimazione del successore a continuare l’attività del defunto conduttore, senza necessità che la titolarità in astratto del diritto alla prosecuzione dell’attività si traduca in una titolarità in concreto, con l’effettiva continuazione da parte dell’avente diritto della stessa, perché questo ulteriore requisito, espressamente richiesto dalle precedenti disposizioni in materia (art. 1, comma 4 della L. n. 253 del 1950; e art. 2 bis, comma 1 della L. n. 351 del 1974), non è stato più indicato dal legislatore nell’art. 37, comma 1 della L. n. 392 del 1978.
La nuova norma, infatti, è stata posta dal legislatore tanto per la salvaguardia della continuità dell’attività commerciale o professionale, quanto per la tutela dell’erede del conduttore, rispetto al quale viene in evidenza il valore economico dell’azienda, senza far sorgere, tuttavia, alcun obbligo a suo carico, essendo libero di esercitare o meno il diritto alla continuazione dell’attività. Infatti, l’erede, che non possa (perché sfornito del titolo professionale) o non voglia proseguire l’attività del de cuius, può cedere l’azienda con il relativo contratto di locazione ex art. 36, L. n. 392 del 1978.
L’effettiva continuazione dell’attività precedentemente svolta è richiesta, invece, dal comma 2 dello stesso articolo, laddove, con riferimento al coniuge separato (consensualmente o giudizialmente) o divorziato, si afferma che “In caso di separazione legale o consensuale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il contratto di locazione si trasferisce al coniuge, anche se non conduttore, che continui nell’immobile la stessa attività già ivi esercitata assieme all’altro coniuge prima della separazione legale o consensuale ovvero prima dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
L’art. 37 al comma 3 disciplina un’altra ipotesi di successione mortis causa nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo: “Se l’immobile è adibito all’uso di più professionisti, artigiani o commercianti e uno solo di essi è titolare del contratto, in caso di morte gli succedono nel contratto, in concorso con gli aventi diritto di cui ai commi precedenti, gli altri professionisti, artigiani o commercianti”.
È il caso in cui più professionisti, artigiani o commercianti esercitano l’attività nello stesso immobile, ma uno solo di loro sia intestatario del contratto. Al decesso di quest’ultimo, subentrano di diritto nella locazione, accanto ai soggetti di cui all’art. 37 comma 1 e 2, anche gli altri professionisti, artigiani o commercianti al cui uso l’immobile era destinato, a prescindere dal fatto che il contratto sia intestato al solo de cuius.
Affinché si possa invocare l’applicabilità del comma 3 è necessario che l’uso plurimo sia lecito, quindi che sia stato previsto contrattualmente o anche successivamente consentito dal locatore. Ne deriva che, laddove la destinazione dell’immobile in favore di più soggetti non sia stata prevista nel contratto stipulato dal locatore con uno soltanto di questi, l’eventuale occupazione di fatto dell’immobile da parte degli altri non li legittima a subentrare nel contratto, salvo che il locatore non abbia espressamente consentito l’uso dell’immobile anche in favore di costoro successivamente al contratto di locazione.
La prosecuzione del rapporto non può, però, aver luogo laddove l’attività svolta dai vari soggetti coinvolti non sia omogenea, ossia dello stesso tipo di quella svolta dal de cuius, per cui, in via esemplificativa, un commerciante non potrà succedere ad un professionista e viceversa.
Va chiarito comunque che i successori ex art. 37 non sono tenuti a continuare il rapporto contro la loro volontà. In effetti, essi hanno comunque la facoltà di sciogliere il rapporto in base all’art.27, ultimo comma, rappresentando il decesso del conduttore originario una “giusta causa” di recesso dal contratto.
Infine, va menzionata la differente ipotesi in cui la morte investa – non il conduttore, ma – il locatore – proprietario dell’immobile urbano, sia esso destinato ad uso abitativo sia esso adibito a uno degli usi ex art. 27. In tal caso, in assenza di una disciplina specifica, trova applicazione il principio generale della trasmissibilità mortis causa dei rapporti contrattuali facenti capo al de cuius: il contratto non si estingue e gli eredi del locatore defunto subentrano nell’esercizio dei diritti e nell’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto. Pertanto, non interviene alcuna risoluzione anticipata della locazione, la quale rimane valida ed efficace alle stesse condizioni, ma con soggetti diversi.
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